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29 marzo 2024, Aggiornato alle 14,44
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Marittimi e querelle armatoriali. Al centro c'è il costo del lavoro

Nonostante la flotta mercantile mondiale ha bisogno di almeno 40mila marittimi, in Italia si stenta a occupare gli ufficiali freschi di accademia. Il problema è che costano troppo


A cura di Paolo Bosso 
 
Un marittimo italiano guadagna in media 2,200 euro netti al mese, l'omologo filippino quasi la metà, 1,200 euro. Una media calcolata dal Medi Telegraph che, pur essendo ponderata - tiene conto di tutte e quattro le tipologie di navi mercantili (portacontainer, portarinfuse, petroliere, traghetti) –, mette in luce la grossa differenza di costi e competitività tra un ufficiale connazionale e uno proveniente dall'Asia.

Il rapporto 2014 della Bimco (quello del 2015 dovrebbe uscire a breve) indica che la flotta mercantile mondiale ha bisogno perlomeno di altri 40mila marittimi. C'è carenza di equipaggio nel mondo, insomma, e l'Italia è piena di marittimi senza lavoro, ma il problema è che la domanda è verso ufficiali che costano molto meno di loro. Una carriera di questo tipo in Italia è veloce, logorante e altamente remunerativa, o almeno lo era finché il meccanismo d'impiego non si è globalizzato. Un comandante italiano può ottenere uno stipendio netto di 8,500 euro per quattro mesi di imbarco. Un terzo ufficiale fino a 2,500 euro. L'addetto alle macchine, la categoria meno qualificata e più numerosa di un equipaggio, in media 1,850 euro. È su quest'ultima figura che si gioca il costo di imbarco per un armatore: meno ti costerà mantenere i macchinisti, più i profitti si manterranno alti. Un traghetto tutto italiano con 19 membri di equipaggio a bordo costa a un armatore 74,650 dollari al mese. Ma se sei una compagnia internazionale che viaggia al di fuori dell'Italia ti si aprono opportunità di risparmio (e profitto) molto più alte se impieghi personale extracomunitario: un addetto di macchina di nazionalità filippina, per esempio, può costare fino a quasi la metà di uno italiano, poco più di 900 euro. 

Il costo del lavoro è la questione chiave dell'economia di oggi. Lo è anche nell'ultima querelle tra i due armatori napoletani Emanuele Grimaldi e Vincenzo Onorato, il primo alla guida di Grimaldi Lines, il secondo di Moby e Compagnia Italiana di Navigazione (Cin, ex Tirrenia). Saranno loro a contendersi nei prossimi anni la maggior parte dei traffici tirrenici di cabotaggio tra la terraferma e le isole del Paese. Grimaldi, armatore internazionale, nelle rotte nazionali tirreniche tra isola e terraferma usufruisce degli sgravi per l'imbarco di marittimi italiani anche se ha un equipaggio misto. Onorato, che effettua solo servizi di cabotaggio tra porti nazionali, è obbligato a imbarcare solo italiani. Di conseguenza Onorato, che opera solo tra porti italiani, non può abbattere il costo del lavoro imbarcando extracomunitari; Grimaldi, che effettua servizi nazionali che sbarcano anche in porti esteri del Mediterraneo, sì. Ma tutti e due operano in concorrenza sugli stessi servizi. Da qui una lotta per l'egemonia iniziata ufficialmente circa una settimana e proseguita a suon di accuse di boicottaggio e inaugurazione di nuove linee. Una concorrenza con poca ideologia e parecchio interesse: Onorato accusa Grimaldi di "giocare sporco", Grimaldi gli rinfaccia i 70 milioni di contributi pubblici che Compagnia Italiana di Navigazione riceve ogni anno per garantire la continuità territoriale tra isola e terraferma ereditata con l'acquisizione di Tirrenia. La questione è normativamente contorta. Andrea Moizo su Ship2Shore la spiega bene.

C'è fame di ufficiali, e sono tanti gli italiani freschi di accademia che aspettano di essere imbarcati. Per la loro formazione hanno pagato molto più delle scorse generazioni che non avevano bisogno di lauree e certificati per imbarcarsi. Il problema è che finché il loro "costo" resta così alto, e il loro mercato ridotto a una piccola porzione del Mediterraneo, cioè lì dove gli armatori non hanno altra scelta che imbarcare personale italiano, per loro trovare lavoro sarà praticamente impossibile.