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Pirateria, Itlos stoppa il caso diplomatico India-Italia

Il "Tribunale del mare" di Amburgo sentenzia la sospensione delle azioni giudiziare sui due fucilieri italiani Latorre e Girone che tre anni fa spararono a due pescatori nell'Oceano Indiano. Dieci punti per ricostruire i fatti


aggiornamento del 24/08. H12. «L'Italia e l'India devono sospendere ogni iniziativa giudiziaria in essere e non intraprenderne di nuove che possano aggravare la disputa». La prima sentenza dell'International tribunal for the law and sea (Itlos) di Amburgo cerca di stoppare il caso diplomatico tra i due paesi fermando le rispettive macchine giudiziarie sul caso dei fucilieri di marina Massimiliano Latorre (a destra nella foto) e Salvatore Girone (a sinistra), accusati dall'India dell'omicidio di due pescatori al largo dello stato di Kerala. 

Respinta la richiesta del ministero degli Esteri italiano di far rientrare in patria Latorre e Girone, in quanto l'Itlos «non considera appropriato prescrivere misure provvisorie» che toccherebbero «questioni legate appunto al merito del caso». Girone si trova in India, mentre Latorre è tornato in Italia per motivi di salute.

In pratica il Tribunale del mare di Amburgo ha deciso di mantenere le cose invariate, stoppando però ogni iniziativa giudiziaria da parte dei due paesi. Una mossa logica, affinché il caso possa essere affrontato da capo dalla Corte internazionale di giustizia dell'Aia, interpellata a giugno dall'Italia per cercare di far rientrare i due fucilieri in patria. Entro il 24 settembre governo di Roma e di New Delhi dovranno presentare all'Itlos un rapporto di «ottemperanza con le misure previste». La decisione del Tribunale del Mare è stata presa con 15 voti a favore e 6 contro. Il presidente del Tribunale, Vladimir Golitsyn, si è espresso a favore. 
 
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di Renato Imbruglia 
 
Il caso dei fucilieri di marina Massimiliano Latorre e Salvatore Girone è approdato in Europa, ad Amburgo, all'International tribunal for the law and sea (Itlos) dell'Onu, che a partire da oggi emetterà la sentenza sulla controversia diplomatica e legale tra Italia e India, nata a seguito dell'incidente del 6 febbraio del 2012, quando i due militari italiani hanno sparato e ucciso due pescatori indiani nelle acque internazionali al largo dello stato indiano di Kerala. Il ministero degli Esteri italiano chiede il rientro in patria di Latorre e Girone e il ritiro delle accuse, mentre quello indiano vi si oppone
 
Della vicenda si è scritto molto, strumentalizzando di volta in volta i due militari per motivi politici, ideologici, di satira e altro, arrivando spesso a giudizi sommari che si limitano a sfiorare la valutazione vera e propria della vicenda. Ricapitolarla, quindi, non sarebbe quantomeno ripetitivo.   

L'incidente
I fucilieri della marina militare italiana Latorre e Girone erano imbarcati dal 6 febbraio 2012 come corpo di protezione - previsto dalla legge 130/2011 - a bordo della petroliera battente bandiera italiana Enrica Lexie. Il 15 febbraio 2012, alle 16.30 locali circa, nelle acque internazionali dell'India, 20,5 miglia al largo dalla costa del Kerala, spararono e uccisero a poche decine di metri due pescatori indiani: Ajeesh Pink, 20 anni, e Valentine Jelastine, 44, che erano a bordo di una piccola imbarcazione, il St. Anthony, che navigava in rotta di collisione con l'Enrica Lexie. I militari italiani hanno sempre dichiarato di aver reagito a una minaccia, considerando l'avvicinamento dell'imbarcazione di pescatori come un attacco pirata. 
 
Il ritorno della pirateria 
Dal 2008 la pirateria è ritornata nei mari del mondo come una presenza costante e minacciosa nello stretto di Malacca, nellla zona occidentale dell'Oceano Indiano, nel Golfo di Guinea e nel Sud-Est asiatico. In particolare in Somalia, tra il 2008 e il 2012, ha assunto i caratteri dell'emergenza, dando vita a molte campagne internazionali per il contrasto del fenomeno. Aiuti umanitari alla Somalia, operazioni di auto-difesa delle navi, pattugliamento militare delle acque dell'Oceano Indiano con la Missione Atalanta, organizzata dall'Unione Europea e appoggiata dalla Nato. Infine, protezione armata a bordo delle navi, misura considerata tra le più importanti dagli armatori italiani. Secondo la fondazione statunitense Oceans Beyond Piracy, le operazioni antipirateria sono costate dal 2010 ad oggi, nel solo Oceano Indiano, oltre 20 miliardi di dollari. Tra il 2010 e il 2014 sono stati oltre novemila, tra l'India e le coste orientali dell'Africa, i marittimi coinvolti in attacchi pirata o furti armati (la pirateria, così come definita all'articolo 101 della Unclos, riguarda i crimini commessi nelle acque internazionali, per i crimini commessi in acque interne si parla di "furti armati a bordo"). 140 le navi attaccate nell'ultimo anno.

Cos'è accaduto quel pomeriggio al largo del porto indiano di Kochi? Cos'hanno visto Latorre e Girone? Il solo racconto dell'accaduto, però, non è sufficiente a spiegare quello che è successo quel giorno. Bisogna tenere in considerazione elementi che spesso non hanno il giusto peso nella discussione pubblica. Alcuni sono locali, legati al fenomeno, altri alla diplomazia e agli interessi delle parti. Interpretazioni divergenti tra l'Italia e l'India che hanno dato vita a una controversia diplomatica e legale. Proviamo a raccogliere in dieci punti questi aspetti controversi, che vanno dalla difficoltà nel riconoscere in tempo un attacco pirata fino alla giurisdizione e alle manovre diplomatiche portate avanti da Italia e India; dai rimborsi che l'Italia ha dato alle famiglie dei due indiani uccisi fino al comportamento delle istituzioni indiane.

1. Pescatori che sembrano pirati, e viceversa
Il motivo principale per cui i fucilieri possono aver identificato nel St. Anthony un'imbarcazione pirata è dato dal modus operandi delle bande pirata somale, che utilizzano pescherecci locali per avvicinarsi alle navi mercantili. A volte le navi merci che navigano in quelle zone si impigliano alle reti da pesca e le tranciano. Ai pescatori, per evitare questo disastro, non resta che accostarsi il più possibile alle fiancate dei mercantili per segnalare la loro presenza, esattamente la stessa manovra usata dai pirati per abbordare, per di più con imbarcazioni del tutto simili o identiche a quelle che utilizzano i pescatori della zona, nascondendo nelle reti le armi d'assalto.

2. Guardie armate a bordo, private
L'esplosione di colpi d'arma da fuoco è avvenuta in una vasta zona denominata High Risk Area (Hra), uno specchio di mare esteso quanto Europa e Russia insieme, che va dalle coste della Somalia a quelle dell'India occidentale. La prima versione dell'Hra è stata definita nel 2011 dai Lloyd's di Londra e delimita le acque ad alto rischio di attacco pirata. Nel maggio 2011, la circolare MSC.1/Circ.1443 dell'International Maritime Organization (Imo) - agenzia Onu che si occupa della sicurezza della navigazione - ha deliberato la possibilità per le navi mercantili di avere a bordo guardie armate private, contractors, autorizzate a intervenire in caso di attacco pirata esclusivamente nell'Hra, e soltanto dopo che la nave ha adottato tutte le misure "dissuasive" che non prevedono l'uso della forza (avvisi radio, cambi di rotta repentini, filo spinato, idranti). Da quando è in vigore la circolare Imo, nessuna nave con a bordo guardie armate è mai stata assalita con successo, in quel tratto di mare, dai pirati. L'Italia ha recepito in ritardo la circolare Imo. Due anni dopo, nell'aprile 2013, con la legge 266/2012, che autorizza l'arruolamento, a bordo di navi battenti bandiera italiana, di guardie armate private al posto di militari, più complicati da gestire. Questo ritardo nell'approvare una legge che consentisse l'utilizzo di personale privato e non militare può essere considerato un motivo di confusione nel definire le responsabilità del caso dell'Enrica Lexie.

3. Chi deve giudicare Latorre e Girone
I colpi di fucile sono stati esplosi in acque internazionali, a circa venti miglia nautiche dalle coste indiane dello Stato del Kerala. Questo elemento è una delle più grandi discriminanti. L'India ritiene che i due militari debbano essere processati secondo le leggi locali affermando che, sebbene non si possa parlare di acque territoriali, ma di zona contigua e zona economica esclusiva, la giurisdizione di riferimento è quella indiana. L'Italia si rifà alla Convenzione di Montego Bay, sostenendo cheEnrica Lexie batte bandiera italiana e i due militari appartengono al corpo italiano e, pertanto, non possono essere giudicati da un tribunale indiano. La Corte Suprema indiana ha deciso di formare un comitato per affrontare e decidere il nodo della giurisdizione. 
C'è una differenza di posizione tra Italia e India anche sullo status di militare: per l'Italia i fucilieri hanno agito come corpo nazionale nel rispetto di una legge votata dal Parlamento nell'ambito della partecipazione dell'Italia a una missione dell'Onu e dell'Unione Europea (la missione Atalanta). L'obbligo per gli Stati di riconoscere l'immunità per i corpi militari che operano in nome di un mandato nazionale e internazionale è vincolante a livello mondiale, principio a cui l'Italia si appella. Ma per l'India i militari non hanno questa veste ufficiale poiché la nave che li ospitava era mercantile e non militare, non c'è stato un chiaro episodio di pirateria (nessun assalto vero e proprio ma un episodio valutato come potenziale minaccia) e lo scontro non è avvenuto in acque internazionali ma in acque la cui giurisdizione (seppur non esclusiva) è indiana.  

4. I contatti radio tra Enrica Lexie e barchino
Una delle differenze tra la versione indiana e quella italiana riguarda i contatti tra la Enrica Lexie e la barca indiana con Pink e Jelastine a bordo. La versione italiana (risposta del Ministro Di Paola all'interrogazione parlamentare 4-1500 del 27 novembre 2012) parla di "graduali misure di dissuasione con segnali luminosi fino a sparare in acqua tre serie di colpi d'avvertimento, a seguito dei quali il natante cambiava rotta". Altre fonti parlano di ripetuti contatti radio tra l'Enrica Lexie e il St. Anthony, durante i quali la prima ha intimato ai secondi di non avvicinarsi. Infine, sempre secondo la versione italiana, l'Enrica Lexie aveva accelerato, aumentando la velocità da 13 a 14 nodi, come raccomandato dall'Imo, attivando sirene e luci di allarme. Per l'India, invece, tutte queste misure cautelative non risultano, non ci sono state operazioni per sfuggire a un eventuale attacco pirata ma esclusivamente le raffiche di arma da fuoco.

5. Il capo di imputazione
Dal febbraio 2012 a oggi la posizione della giustizia indiana sul capo di imputazione per i due militari è stata incerta, passando da una possibile accusa di omicidio a quella di terrorismo (che prevede la pena di morte), creando incertezza nella difesa italiana e nella stessa giustizia locale. Latorre e Girone, da oltre due anni, non sanno di cosa sono accusati, situazione più unica che rara. Non sono nemmeno stati ufficialmente incriminati per omicidio, in pratica sono ancora in attesa dell'imputazione di reato.

6. Incidenti diplomatici
La revoca dell'immunità e la limitazione di movimento imposta dall'India all'ambasciatore italiano in India Daniele Mancini nel marzo 2013 appare illegittima e senza fondamento giuridico: non era mai successo, da quando è in vigore la Convenzione di Vienna sulle relazioni diplomatiche (1964), che un ambasciatore in un paese non in guerra con quello di appartenenza fosse limitato nel paese in cui svolge le proprie funzioni. È probabile che questa mossa del governo indiano sia stata una tattica per mettere pressione, in risposta alle dichiarazioni dell'allora Ministro degli esteri, Giulio Terzi, quando annunciava che i militari sarebbero tornati in Italia come risposta al mancato parere positivo dell'India per risolvere la vicenda presso un soggetto terzo internazionale.

7. Il risarcimento dell'Italia alle famiglie delle vittime
Nell'aprile 2012 le famiglie dei due indiani uccisi hanno avuto dall'Italia un risarcimento di circa 140 mila euro a testa. Risarcimento che sancisce anche un patto tra l'Italia e le famiglie. Queste ultime, infatti, si impegnano a ritirare le proprie azioni legali contro i militari. Il governo italiano aveva specificato che il contributo era su base volontaria e umanitaria, e non implica una colpevolezza dei militari. L'accordo è stato riconosciuto valido dall'Alta Corte del Kerala, lo Stato indiano più vicino al luogo in cui si è verificato l'incidente e che ha quindi giurisdizione. Ma pochi giorni dopo l'approvazione del rimborso da parte dell'Alta Corte, la Corte Suprema dell'India ha dichiarato illegittimo l'accordo. 

8. Il rimborso dell'Italia al capitano del St. Anthony
L'Italia non ha rimborsato soltanto le famiglie delle vittime, ma anche, nell'aprile 2012, per circa 20 mila euro, il capitano del St. Anthony per i danni riportati dall'imbarcazione. Anche questo accordo è stato prima accettato dall'Alta Corte del Kerala e poi dichiarato illegittimo dalla Corte Suprema dell'India.

9. La Olympic Fair
Lo stesso giorno dell'attacco, il 15 febbraio 2012, la nave greca Olympic Fair, che si trovava nella stessa zona dell'Enrica Lexie, è stata attaccata da un'imbarcazione pirata poche ore dopo lo scontro a fuoco che ha interessato la nave italiana. Il report ufficiale che la nave greca ha mandato all'Imo (come da prassi) appare lacunoso e abbastanza impreciso sugli orari. Resta, in ogni caso, un'inconfutabile testimonianza della presenza di un'imbarcazione pirata in quello specchio di mare in quelle ore.

10. Indagini esclusive
L'India non ha mai accettato, sebbene richiesto più volte da voci diverse, una presenza ufficiale dell'Italia nelle valutazioni balistiche e nell'accertamento dei fatti. Non c'è mai stata un'udienza del processo in India, ma ogni volta c'è stato un rinvio. Inoltre, l'India non ha mai formulato accuse ma è ancora, dopo due anni e mezzo, in attesa di decisioni interne per l'identificazione del reato. I principali organismi internazionali (ONUNatoUnione Europea) hanno espresso preoccupazione per i lunghi tempi e per le incertezze che si sono avute nello sviluppo della questione giuridica e della strada scelta dall'India per arrivare a un processo. L'India si è rifiutata di riconoscere come valida la scelta dell'Italia di rivolgersi al Tribunale di Amburgo. 
 
Sul sito del Tribunale di Amburgo è possibile leggere i verbali delle udienze e la posizione ufficiale italiana, così come quella indiana.