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29 marzo 2024, Aggiornato alle 14,44
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Cultura

Le navi che dall'Italia andavano nel Corno d'Africa

Prima delle mega portacontainer refrigerate, per decenni un intenso traffico, in particolare di bananiere, si era sviluppato fra i nostri porti e quelli dell'Africa Orientale


di Francesco Pittaluga* - DL News

Prima che il trasporto della frutta tropicale venisse affidato alle attuali colossali multinazionali con le loro mega portacontainers refrigerate o, spesso, i grandi cargo alati che solcano oggi i cieli di tutto il globo, vi è stato per decenni un intenso traffico interessato al trasporto delle banane e non solo fra i nostri porti e quelli dell'Africa Orientale: "in primis" Somalia ed Eritrea,  facenti parte con Etiopia e regioni limitrofe del cosiddetto "Corno d'Africa. Affidato prima della Seconda Guerra Mondiale alle navi del Regio Monopolio Banane dal caratteristico nome costituito dall'acronimo "Ramb" seguito dal numero romano I,II,III,IV e così via e tutte perdute per eventi bellici, alla fine del conflitto verrà ripreso da alcune società fra cui la Siciliana Servizi Marittimi che impiegherà sulla rotta verso Suez e Mogadiscio il piroscafo Somalia adibito, grazie alle sue stive refrigerate, al trasporto di banane e di una ventina di passeggeri. Nel dopoguerra l'Italia, perse le colonie africane, era ancora presente in quei territori d'oltremare non solo per la forte presenza di nostri connazionali che non avevano lasciato Etiopia, Eritrea e Somalia e lì continuavano a svolgere le proprie attività economiche ed imprenditoriali, ma anche politicamente la valenza del nostro Paese era sempre importante, soprattutto proprio in Somalia che fino al 1960 resterà in Amministrazione Fiduciaria Italiana nel cammino verso la piena indipendenza.

          

Il traffico bananiero
A fronte di ciò, il traffico marittimo commerciale riprese immediatamente dopo la fine delle ostilità e, oltre a quella appena ricordata e ad altre minori, nel traffico bananiero la compagnia che si impose in breve fu la genovese Villain & Fassio, già armatrice di alcune navi da carico prima della guerra e di una piccolo piroscafo passeggeri, la Franca Fassio, adibita negli anni Venti-Trenta alla linea bisettimanale Genova-Barcellona e perduta per siluramento davanti a Noli nell'ottobre del 1940. La compagnia tornò ad inserirsi nel traffico merci  e passeggeri di linea fra 1950 e '51, quando furono riprese le importazioni di banane dalla Somalia, acquistando in Svezia due motonavi frigorifere pressoché nuove. Esse saranno la Jole Fassio ex Ocean Queen di 3.500 tonnellate, varata a Sandefjord nel 1950 e la Giuliana Fassio già Prinsdal di 3.225 tonnellate, scesa in mare a Landskrona nel 1948. Ad esse seguiranno altre due motonavi dello stesso tipo, una di costruzione germanica e l'altra italiana: rispettivamente la Franchina Fassio di 3.486 tonnellate varata ad Amburgo nel 1953 e la Marzia Tomellini Fassio di 3.284 tonnellate, costruita a Riva Trigoso fra 1956 e 1957. Tutte dotate di aria condizionata, con una velocità di 15-17 nodi che era molto alta rispetto a quella del naviglio della concorrenza, disponevano  di comode sistemazioni per una dozzina di passeggeri aumentabili fino ad un massimo di ventiquattro, tutti ospitati in cabine esterne singole o doppie elegantemente arredate, con una bella sala da pranzo, il soggiorno, la sala di lettura e scrittura, il bar e la veranda. La capacità di carico refrigerato era di 5.000 mc e quella di merci generali di più di duemila tonnellate in quattro stive. Dalla linea slanciata e filante, con lo scafo bianco e le sovrastrutture tenute sempre pulite ed in perfetto ordine, avevano un aspetto particolare che coniugava  le esigenze di una moderna nave da carico con la somiglianza con un grande yacht da crociera, e ciò le rese fin da subito popolari non solo fra l'utenza italiana ma anche presso quella straniera, soprattutto francese e britannica, che spesso preferiva affidarsi ai passaggi delle nostre navi piuttosto che a quelle dei propri armamenti nazionali. La clientela era formata in genere da funzionari governativi, medici, religiosi e missionari, proprietari italiani e stranieri delle tante aziende che operavano nell'area del Corno d'Africa e che periodicamente rientravano in Patria coi loro familiari.

Gli italiani che andarono in Messico 

Un "round-trip" di otto settimane
Le motonavi effettuavano regolare servizio da Genova per Napoli, talvolta Messina o Malta, indi Porto Said, Massaua in Eritrea, saltuariamente Gibuti nell'allora Somalia Francese, poi Aden e infine, doppiato Capo Guardafui, i porti somali di Mogadiscio, Merca e Chisimaio. Considerando che tutto il "round-trip" richiedeva circa otto settimane, con quattro unità era assicurata una partenza ogni quindici giorni.  Spettacolare in uscita dal Tirreno il passaggio ravvicinato in notturna dell'isola di Stromboli col suo vulcano in perenne attività e la traversata diurna del Canale di Suez coi piloti  allora per la maggior parte francesi e inglesi che imbarcavano a Porto Said e venivano avvicendati ad Ismailia, piccola e graziosa cittadina sulla sponda ovest del Canale stesso, per accompagnare  la nave fino a Suez. Sempre ad Ismailia i convogli che navigavano alla volta del Mar Rosso si incontravano con quelli che si stavano dirigendo verso il Mediterraneo. Essi si incrociavano all'altezza dei Laghi Amari, unico punto in cui la larghezza del Canale stesso consentiva ciò. Le navi bananiere della Villain & Fassio si trovavano spesso in convoglio con le petroliere degli armatori greci Onassis e Niarchos, con le motonavi inglesi della Blue Funnell o della British India o con le bianchissime navi passeggeri della P & O e del Lloyd Triestino. Entrate poi nel Mar Rosso il caldo cominciava a farsi sentire pesantemente per raggiungere il suo apice una volta attraccati a Massaua in Eritrea. Grazie all'aria condizionata di bordo ed alla leggera brezza che, avvertita all'aperto, mitigava la calura in piena navigazione, il viaggio proseguiva fino ad Aden allora in mani britanniche, ove le navi si rifornivano di carburante una volta uscite dallo stretto di Bab-el-Mandeb ed essere entrate nell'Oceano Indiano. A quei tempi Aden più che un porto era una rada provvista di molte boe per l'attracco: tutto attorno un paesaggio piuttosto desolato di chiara origine vulcanica, brullo e costellato qua e là di rara macchia bruciata dal sole e dalla salsedine. La navigazione proseguiva poi per Mogadiscio lungo la costa del Corno d'Africa che si costeggiava al largo doppiato Capo Guardafui e lasciando l'isola di Socotra a babordo. Spesso in queste acque, oggi insidiose per altri motivi, si incontrava mare in tempesta  a causa dei monsoni che spirano fin qui dall'India e dal deserto del Gobi: altra difficoltà era la mancanza di fari e le frequenti formazioni nebbiose cui sopperiva l'abilità degli Ufficiali che battevano costantemente quelle rotte.


A Mogadiscio
Dopo tre giorni da Aden le navi giungevano a Mogadiscio, capitale della Somalia che, come già ricordato, non era più una nostra colonia ma era ancora affidata al Governo Italiano per il settore amministrativo. In mancanza di un porto vero e proprio, i piroscafi ancoravano in rada e venivano poi affiancate dalle maone, specie di grandi chiatte che venivano utilizzate per tutte le operazioni di imbarco e sbarco, sia delle merci che dei passeggeri. Mentre la rada di Mogadiscio vedeva avvicendarsi il naviglio impegnato nelle operazioni portuali, in prossimità del porto una folla variopinta si mescolava a divise militari, caschi coloniali, sahariane, religiosi in abito talare, monache missionarie vestite di bianco, funzionari governativi di vario livello, signore e signori più o meno eleganti e a volte equivoci che sbarcavano mentre a terra faceva loro riscontro un intenso brulichio di fez, turbanti multicolori e tutta una popolazione apparentemente indaffaratissima e interessata a tutto quanto poteva gravitare intorno alla prima nave in partenza o all'ultima in arrivo. All'andata le unità della "Villain & Fassio" trasportavano soprattutto apparecchiature meccaniche, mobili, elettrodomestici quali frigoriferi e le prime lavatrici, automobili e vino. Dopo lo sbarco di questi prodotti a Mogadiscio, proseguivano per Merca, importante scalo a Sud della capitale e primo porto  di caricamento delle banane. Nemmeno qui esisteva un porto vero e proprio e l'imbarco avveniva con l'impiego delle maone e la forza delle braccia di un centinaio di somali che in un tempo relativamente breve e sotto la sorveglianza del personale di bordo portavano a compimento un'operazione che era meno semplice di quanto si potrebbe immaginare, viste le cautele che si dovevano attuare per fare si che le banane, una volta stivate con un preciso criterio, giungessero a destinazione nel migliore dei modi possibili. Poi altra tappa a Chisimaio, importante emporio costiero e crocevia di tante vie di comunicazione che portavano verso le grandi piantagioni dell'interno del Paese. Qui veniva completato il carico della nave ed erano imbarcati i primi passeggeri del viaggio di ritorno, cui si sarebbero aggiunti quelli che attendevano di salire a bordo a Mogadiscio. Inconsueto e molto originale il sistema per imbarcarli: i passeggeri arrivavano sottobordo su di una piccola imbarcazione e dalla nave, tramite un bigo di carico, veniva ammainato un sacco cilindrico di tela o di iuta col fondo di legno nel quale le persone si sistemavano per essere poi issate a bordo una alla volta.

La chiusura di Suez
Dopo Mogadiscio la navigazione riprendeva scalando gli stessi porti che si erano toccati all'andata e raggiungendo Genova dopo circa venti giorni dall'avere lasciato le coste somale. Questo servizio prosperò fino ai primi anni Settanta anche se con la chiusura del Canale di Suez fu necessario aprire una nuova rotta, molto più lunga, attraverso lo Stretto di Gibilterra e la circumnavigazione del Continente Africano. Questa esigenza e le sorti della compagnia armatrice, che cominciarono a declinare proprio in quegli anni, portarono alla chiusura della linea fra 1970 e 1971. La Jole Fassio fu venduta nel luglio di quell'anno alla "Saudi Lines" che la ribattezzò Najd; la Marzia Tomellini Fassio passò nel novembre alla "Plate Shipping Corporation" e ribattezzata Marcia; la Franchina Fassio fu ceduta nel 1971 alla "Sociétè Caennaise de Navigation" come Danae. Tutte e tre navigheranno ancora qualche anno per essere demolite fra 1975 e 1976, sorte che invece toccò subito alla Giuliana Fassio, andata in disarmo e poi smantellata a La Spezia. Con la fine di queste unità e la chiusura delle linee esercite dalla Villain & Fassio si archiviò un capitolo della storia della navigazione italiana che traeva le sue origini dall'acquisto da parte della "Navigazione Generale Italiana" della baia di Assab nel 1881. Dagli anni Settanta del Novecento in poi le aree geografiche del Corno d'Africa sono state martoriate da guerre e rivoluzioni che in parte sussistono ancora oggi e l'instabilità economica e politica della zona è tutt'altro che superata.

Le compagnie oggi
A livello italiano sono poche le compagnie che oggi si spingono in quelle acque e fra tutte primeggia la Linea Messina coi suoi grandi "Jolly" dallo scafo arancione e dalla stella bianca in campo nero sulle ciminiere. Oltre ad esse le grandi portacontainers della Msc, le ro-ro carriers della Grimaldi e le mega-navi da carico delle multinazionali europee e asiatiche. In questo contesto le bianche navi bananiere della Villain & Fassio oggi farebbero sorridere, ma il ricordo della loro elegante silhouette, l'atmosfera di bordo, il servizio ineccepibile e la competenza dei loro equipaggi sono un nostro patrimonio ancora vivo fra quanti vi lavorarono o semplicemente vi navigarono sopra e da ricordare a tutti quelli che non l'hanno vissuto e che sarebbe un peccato non ne conoscessero la storia.

*Ingegnere e storico aero-navale, console de "A Compagna". Informazioni Marittime ha pubblicato un'altra sua storia, quella degli italiani che andarono in Messico.