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18 aprile 2024, Aggiornato alle 19,59
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Bologna: "La crisi sta cambiando per sempre lo shipping"

Da Livorno un'approfondita analisi dell'autore di "Le multinazionali del mare". I grandi progetti dei porti abortiti per la mancanza di soldi. Il boom del multipurpose. «I discorsi sulla portualità italiana? Provinciali» 


Quale sarà lo scenario post-crisi per lo shipping? Che ne è dei grossi porti e delle grosse compagnie marittime, quelle che Sergio Bologna (nella foto), esperto di porti, logistica e trasporti, chiama "multinazionali del mare"?. A Livorno una giornata all'insegna dell'analisi sullo scenario mondiale dello shipping e del sistema globale del trasporto. L'occasione è stata la presentazione, presso la sala del Lem al palazzo del Portuale, dell'ultimo lavoro di Sergio Bologna, il libro "Le multinazionali del mare". L'iniziativa è stata della Compagnia Portuale di Livorno che intende sviluppare un percorso di appuntamenti di questo tipo. Presente all'incontro anche Roberto Piccini, presidente dell'Autorità Portuale di Livorno, Massimo Paoli, docente di discipline giuridiche ed aziendali dell'Università di Perugia, Giuseppe Parziale, rappresentante Finsea, Maurizio Bettini, assessore comunale ai trasporti, Simone Angella rappresentante Filt-Cgil Livorno per il settore porti e infine il presidente del gruppo Cpl, Enzo Raugei. 
 
I porti dopo la crisi. «Il mondo dello shipping, come del resto tutti gli altri settori del mercato globale, sta vivendo profondi cambiamenti – ha spiegato Bologna – in tale scenario anche il ruolo del Mediterraneo sarà messo in messo in discussione ed a mio avviso quando usciremo dalla crisi ci troveremo comunque davanti ad un altro mondo. Il nuovo mercato sarà caratterizzato da momenti di grandi picchi di domanda ma anche di forti ricadute, con un andamento altalenante di difficile gestione. Per cui anche le imprese della logistica dovranno inventarsi nuovi elementi di flessibilità. Ecco perché gli investimenti puntano sempre di più alle navi multipurpose che possono trasportare prodotti di ogni genere ed anche la finanza sta abbandonando il settore dei container per orientarsi sul general cargo che ha avuto anche uno straordinario sviluppo dal punto di vista di innovazione tecnologica».
«Anche l'innovazione tecnologica gioca un ruolo fondamentale – ha affermato Massimo Paoli – ed i sistemi più moderni oggi puntano ed investono principalmente sui sistemi multimodali avanzati e sul potenziamento dei terminal container. Purtroppo i porti italiani sono rimasti indietro in questo percorso». Nonostante questo, per Paoli il «futuro è il contenitore e quindi chi persegue lo sviluppo su questo deve puntare».
 
L'Italia. Una delle osservazioni fatte a Bologna è stata la mancanza nel libro di un'accurata analisi della situazione nella nostra penisola. «Nel mio libro si parla poco dei porti italiani. Perché? Perché negli ultimi anni la discussione fatta intorno al loro ruolo, intorno allo sviluppo della portualità, è diventata noiosa e molto provinciale. Guardare al futuro significa allargare lo sguardo». 
 
La nascita delle multinazionali del mare, ovvero breve storia dei porti. Dalla breve storia dei porti marittimi emerge le concause che hanno determinato la nascita di quelle che Bologna chiama multinazionali del mare. Scali che «hanno subito un profondo processo di trasformazione con le privatizzazioni degli anni 90. Mentre le compagnie di navigazione del traffico container costruivano una capillare rete di servizi che tocca anche le più remote aree del globo, potenti organizzazioni si sono andate formando nella gestione dei terminal portuali con ramificazioni in tutti i continenti. Investitori istituzionali hanno scoperto il business delle banchine, una volta riservato a società pubbliche. II pittoresco mondo degli scaricatori occasionali si è trasformato in una rigida organizzazione industriale, che opera 24 ore su 24 con mezzi meccanici di grande potenza e l'impiego di sofisticati sistemi informatici. Dal 1990 a oggi il traffico marittimo di merci è aumentato di sei volte a livello mondiale. Investire nella costruzione di navi sembrava un grosso affare, sin quando la crisi non ha stroncato di colpo un ciclo ascendente, particolarmente euforico dopo il 2002. Grandi istituti bancari, che si erano esposti nel finanziamento dello shipping, soprattutto in Germania, si trovano oggi in gravi difficoltà. I porti europei, che avevano avviato progetti di forte espansione, talvolta sovradimensionati, rischiano di trovarsi senza risorse per portarli a termine. Lo stesso può accadere per i porti italiani. È in atto quindi un forte ripensamento della missione di un porto marittimo con sempre maggior enfasi posta sui collegamenti terrestri».