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18 aprile 2024, Aggiornato alle 19,59
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Politiche marittime

L'Italia e la sfida dei cambiamenti nei porti

Le contraddizioni tra il mondo dello shipping nazionale e la politica, nel quadro globale di un settore in rapida trasformazione. Sono i temi focalizzati dall'assemblea di Federagenti


Non solo container. L'Italia dei porti ha certo bisogno urgente di riforme, ma ha anche la necessità di ripensare le sue funzioni in un mercato internazionale dei trasporti via mare che è caratterizzato da forti elementi di fragilità finanziaria, e che talora richiede agli scali marittimi e ai sistemi logistici investimenti infrastrutturali che spesso non sono in grado di affrontare. E' questa una delle indicazioni scaturite dall'assemblea di Federagenti svoltasi nei giorni scorsi a Trieste. Prendendo spunto dalla relazione del professor Bologna, sulle criticità di un settore caratterizzato da un ingresso massiccio di fondi di private equity, il presidente Michele Pappalardo ha sottolineato che l'industria marittima in Italia continua a confermare caratteristiche di eccezionale vitalità, procedendo in controtendenza anche in questi anni di crisi, generando occupazione, ricchezza e migliorando costantemente i suoi standard qualitativi. Ma è sulle trasformazioni del settore a livello globale che bisogna concentrare l'attenzione per cercare di capire quale sarà il futuro dello shipping anche da noi.

 

Il gigantismo navale
L'attenzione negli ultimi anni, ha spiegato Pappalardo, si è concentrata in modo quasi mo-maniacale sulle portacontainers, che, vorrei ricordarlo, rappresentano la chiave di lettura di una percentuale non maggioritaria dell'interscambio mondiale via mare ma che hanno assunto indubbiamente il valore simbolico di metro di valutazione sullo stato di salute dello shipping e dei porti. Questo settore è indicativo delle tre grandi scelte compiute in questi anni. La corsa alle nuove costruzioni, che ha generato uno squilibrio non assorbibile fra domanda e offerta di trasporto container; la corsa al gigantismo navale, con compagnie che stanno ordinando colossi di portata superiore ai 18mila teu; e, infine, il tentativo di trovare in grandi alleanze, come la P3 (Maersk, Msc e Cma-Cgm), bloccata in queste ore dalle autorità cinesi, che farebbero impallidire i cartelli o gli accordi di traffico contro i quali l'antitrust americano e la direzione concorrenza avevano adottato, al contrario di quanto accaduto oggi, atteggiamenti censori degni del Savonarola. Il 2014 ha già registrato l'entrata in servizio sulle rotte da e per il Far East di 14 nuove navi da oltre 10.000 teu di portata e altre 47 scenderanno in campo entro fine anno. Nel 2013 complessivamente erano state consegnate 34 Ultra Large Containerships e 51 nel  2012. Quest'anno è già stata schierata, considerando anche le navi di 8mila teu, una potenza di fuoco di 339.329 teu, confermando – come sottolineato dai rapporti di Bimco e Alphaliner – un andamento ciclico nei ritmi di consegna anno dopo anno di nuove navi portacontainer. 2015 e 2016 non vedranno flessioni nella corsa al rinnovo della flotta, confermando anche un secondo fenomeno: un bassissimo tasso di demolizione e quindi la permanenza sul mercato anche di navi di dimensioni e portata minore che teoricamente avrebbero dovuto uscire di scena anche sotto la pressione di costi del carburante che continuano a salire.
Contraddizioni tra filiera marittima e politica
Dopo aver inquadrato la condizione generale del settore e la sua rapida evoluzione, il presidente di Federagenti ha sottolineato con forza l'attuale contraddizione fra struttura operativa italiana della filiera marittima e una politica che continua a condannarla in una sorta di limbo senza tempo, rinviando sine die il momento di affrontare le grandi problematiche di sviluppo ma anche di sopravvivenza del settore portuale e ha rimarcato come ogni progetto di riforma portuale, da vent'anni a questa parte, sembri essere più un aggiustamento del passato che una proiezione nel futuro. E due risposte sono arrivate puntualmente dal presidente della Regione Friuli Venezia Giulia, Debora Serracchiani che, intervenendo all'assemblea, ha annunciato la scelta di fondo di varare in tempi brevi un provvedimento che individui 14 porti strategici, che, parallelamente, affidi a un piano strategico nazionale, il compito di guidare una razionale politica di investimenti e di scelte di governance. "E' necessario – ha affermato Debora Serracchiani che è anche responsabile trasporti del PD – non solo ripensare l'autonomia finanziaria delle Autorità portuali strategiche, ma anche ottenerla superando anche le resistenze del ministero dell'Economia". La Serracchiani ha anche annunciato per il semestre europeo la presentazione della proposta italiana per escludere dal patto di stabilità i grandi investimenti per la crescita, ivi compresi quelli nelle grandi infrastrutture di trasporto e nei porti.