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28 marzo 2024, Aggiornato alle 16,33
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"Il lavoro portuale non è temporaneo"

Dopo le critiche a Grimaldi Napoli per la richiesta di autoproduzione a Genova, si accende il dibattito sull'organizzazione del lavoro negli scali. L'Authority ligure: "Non è un lavoro interinale". I pool di manodopera sono uniformi in tutti i porti europei ma non c'è una normativa specifica, neanche in Italia


Si accende il dibattito sull'organizzazione del lavoro portuale, sia sotto l'aspetto nazionale che europeo. L'evento che ha dato il via alla discussione è stata la recente richiesta da parte del gruppo Grimaldi di Napoli di operare in autoproduzione al Terminal San Giorgio di Genova, utilizzando i propri uomini di bordo per le operazioni di sbarco e imbarco (rizzaggio e derizzaggio della merce) anziché i portuali genovesi. La proposta ha subito ricevuto un secco no dall'Autorità portuale: «Una grande compagnia come la Grimaldi - ha osservato il presidente della Port Authority Luigi Merlo- non può non considerare l'impatto della sua richiesta» che sarebbe «devastante per il sistema portuale italiano».
Nei giorni scorsi, sempre presso il capoluogo ligure, si è svolto un interessante incontro a Palazzo San Giorgio: "Il lavoro nei porti d'Europa" organizzato dal Genoa Port Center (Gpc) e dal Gruppo Giovani Riuniti (Grr) in collaborazione con l'Autorità Portuale genovese. «Pensare ad un sistema omogeneo del lavoro portuale in Europa sembra essere quasi un'utopia» ha affermato Merlo nel corso del dibattito ribadendo le opinioni espresse in occasione della risposta a Grimaldi.
Lo scenario europeo. La situazione generale nel Vecchio Continente è stata presentata da Theo Notteboom, professore e presidente dell'Itmma (Institute of Transport and Maritime Management Antwerp) dell'Università di Anversa. Secondo il docente nei porti europei il lavoro portuale ha un peso molto differente e in alcuni casi arriva addirittura al 70% dei costi complessivi o al 50% nel solo comparto dei container. 
Razionalizzazioni diverse in ogni porto. Per questo, secondo Notteboom è assolutamente sbagliato «prendere un sistema di organizzazione da un porto e importarlo in altri». 
I tratti in comune. Nei porti europei, però, un tratto comune alle differenti forme di lavoro portuale esiste ed è quello del "pool di manodopera" che nel porto di Genova si identifica con gli storici camalli della Compagnia Unica (Culmv). Antonio Benvenuti, Console della compagnia di Genova, ha sottolineato che in Italia questa forma di organizzazione non trova corrispondenza nell'articolo 17 della legge 84/94 che disciplina la fornitura del lavoro portuale temporaneo. Per Benvenuti la situazione differisce da scalo a scalo e sono in atto forme di deregulation. 
Non è un lavoro interinale. «Secondo noi il lavoro portuale è qualcosa di diverso da un'agenzia di lavoro somministrato» ha detto il segretario generale dell'Authority di Genova, Giambattista D'Aste, che ha rimarcato così le sostanziale differenza tra lavoro portuale e lavoro interinale. «A differenza di quanto avviene nei settori economici in cui il lavoro interinale ha una funzione - ha aggiunto Enrico Musso, docente di Economia dei trasporti all'Università di Genova - il lavoro portuale è fornito ad un numero limitato di imprese ed operatori la cui attività segue per lo più analoghi trend di sviluppo». Secondo Musso nei porti «il modello del lavoro interinale non funziona».