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24 aprile 2024, Aggiornato alle 10,25
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Politiche marittime

La cultura funzionale delle città portuali

L'Aivp Days, in corso di svolgimento a Helsinki, affronta le tematiche delle città portuali: sviluppo sostenibile delle banchine e fruizione di queste da parte dei cittadini dall'inviato ad Helsinki Paolo Bosso


dal nostro inviato ad Helsinki Paolo Bosso

«La cultura portuale è lo spazio pubblico, con il Comune come primo cliente, che dà regole e concessioni». Adolfo Romagosa sintetizza così la questione della relazione città-porto, e come dirigente di uno dei progetti "portoculturali" più belli d'Europa, Port 2000 di Barcellona, non potrebbe essere voce più autorevole. La gestione pubblico-privata dei porti, di cui l'Italia tanto dibatte, dovrebbe partire da qui, da una gestione in cui i privati hanno ampia libertà, ma all'interno di regole precise stabilite dalla cosa pubblica, dalla città. E' l'unico modo, secondo Romagosa, per rendere davvero effettivo il dialogo tra lo spazio portuale e cittadino, affinché il primo si sviluppi in modo sostenibile, e il secondo riesca a "sostenere" l'espansione del primo.
Romagosa è intervenuto a Helsinki, nel corso dell'Aivp Days dell'Association Internationale Villes et Ports, associazione con base a Le Havre specializzata nello sviluppo di progetti culturali delle città portuali. Il 13 e 14 giugno l'Aivp terrà la "sua" convention affrontando i suoi temi più cari: relazione città-porto, sostenibilità delle città portuali, e poi progetti, tanti progetti provenienti da decine di paesi, tutti con lo scopo di rendere vivibile e, perché no, migliore una città con un porto in via di sviluppo.
«Io combatto in mezzo a due fronti: da un lato la città, dall'altro il porto» afferma Romagosa. Lo scalo di Barcellona ha una forte gestione pubblica dell'Autorità portuale e negli ultimi quindici anni ha incredibilmente espanso l'area portuale adibita alle attività culturali e turistiche, creando una sorta di "terra di mezzo" in cui porto e città si incontrano. Il sistema sembra perfetto: l'Authority dà le concessioni ai privati, stabilisce le regole, avviando un circolo virtuoso che ha permesso al porto spagnolo di diventare uno dei porti europei che meglio rappresenta la convivenza tra la realtà commerciale e industriale del porto e quella amministrativa della città. «E' una lotta continua in cui bisogna mediare continuamente» afferma Romagosa, sottolineando la difficile relazione di due mondi, due spazi, quello "civico" della città e quello "industriale" del porto, che non potranno mai fondersi. «Mischiare lo spazio pubblico con le banchine rende queste ultime più forti» afferma Vignir Albertsson, direttore dell'Icelandic Associated Ports dello scalo islandese di Reykjavij. Perché? «Perché rende consapevoli i cittadini di cosa significa vivere vicino a un porto, il che non può che generare risorse professionali e culturali che confluiranno inevitabilmente nello scalo».
La prima giornata dell'Aivp Days di Helsinki ha visto la presentazione dei progetti di espansione di numerosi scali europei e latinoamericani: Helsinki, Reykjavik, Buenos Aires, Veracruz, Malaga, Marsiglia, Pireo e Venezia. Helsinki che punta sul waterfront, Rejkyavik sulle infrastrutture, Buenos Aires sugli spazi pubblici, Veracruz sulla legislazione portuale, Malaga sull'espansione delle banchine, Marsiglia sul suo ruolo nel 2013 di Capitale europea della Cultura, Pireo sulla realizzazione di un museo e sull'espansione delle banchine. Infine Venezia che con Marta Moretti, architetto membro di River (Venezia), ha illustrato il concetto di "cultura funzionale" dietro la realizzazione di un waterfront. Le amministrazioni portuali di queste città, che negli ultimi dieci anni hanno visto un significativo sviluppo in termini di passeggeri e traffico, hanno tutte in comune una consapevolezza di base: quella che per far crescere le loro banchine non basta soltanto accontentare armatori, agenti marittimi e quant'altro, ma anche i cittadini che vivono alle sue spalle. Perché, per usare le parole di Romagosa, «il porto vive in città, anche se non ne fa parte».