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29 marzo 2024, Aggiornato alle 10,06
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Armatori

E se gli armatori cambiassero pelle?

La crisi dello shipping segna un importante cambio di rotta per questo tipo di imprese. Ora, tra ristrutturazioni e fallimenti, gli armatori sono costretti ad abbandonare il tradizionale modello "patriarcale" per uno più al passo coi tempi


di Fabrizio Vettosi (*) 
 
Non vi è dubbio che il nostro mercato, lo shipping, sta vivendo una delle crisi più acute degli ultimi cinquant'anni. Ma è altrettanto vero che nel corso delle innumerevoli (forse troppe) conferenze internazionali a cui partecipiamo ci soffermiamo ad analizzare gli effetti della crisi e non le cause. E pur quando ciò avviene l'analisi si limita agli elementi superficiali che caratterizzano l'equilibrio del mercato, ovvero alla mera esposizione quantitativa dell'offerta di tonnellaggio e della relativa domanda. Non si procede mai su livelli di analisi più elevati, strategici, ovvero i momenti decisionali che caratterizzano la formazione della domanda e dell'offerta, alla modalità con cui si dipana il processo decisionale nell'ambito delle aziende di shipping. Per anni ho ascoltato ed imparato con grande umiltà dai miei maestri di shipping quelli che erano i "mantra" dei principi manageriali di un'impresa armatoriale. In pratica:
1. Le decisioni devono essere piramidali ed assunte da una sola persona (one man show company), non a caso nelle nostre imprese è frequente udire il nome "armatore" e non "presidente", "amministratore delegato", "direttore generale" o semplicemente "imprenditore". Ciò quasi a voler statuire che vi è "un uomo solo al comando" capace di incidere sulle sorti dell'impresa e dei suoi stakeholders.
2. Le decisioni devono essere prese rapidamente, per non dire in maniera immediata. Questa è quasi una considerazione consequenziale al precedente "mantra" in quanto la condivisione delle scelte genera una "perdita di tempo" e nello shipping perdere tempo significa perdere danaro.
3. La dimensione dell'impresa di shipping si misura dal numero di asset controllati ("dimmi quante navi hai e ti dirò che armatore sei") che esprime una possessività quasi libidinosa verso quello che per un altro imprenditore sarebbe semplicemente uno "stabilimento produttivo" (non conosco ad esempio un imprenditore dell'acciaio essere legato ad un altoforno come invece lo è un armatore verso una propria nave, per non parlare se questa porta il proprio nome).
4. Il profitto dell'impresa di shipping deriva essenzialmente dalla compra-vendita degli asset (asset playing) e non da quella che dovrebbe essere la sua naturale missione di impresa di logistica e di trasporto di cose e/o persone. Pertanto, tale profitto deriva da un approccio di breve termine (orizzonte di pochi anni) considerata la vita economica-utile degli stessi asset che è invece di svariati decenni (al meglio di oltre vent'anni). 

Sembra evidente, sulla base dell'attuale débâcle di mercato, che il suddetto schema basato sui "4 mantra" dello shipping non ha funzionato e sia deflagrato in tutta la sua negatività. Sostanzialmente ciò in parte è vero, ed andremo successivamente ad analizzare tale aspetto, così come non può sottacersi che tale framework abbia funzionato per svariati lustri (se non secoli) facendo nascere importanti dinastie dello shipping mondiale.
Tuttavia, ciò che non ha saputo cogliere l'industria dello shipping è stata la velocità del cambiamento degli scenari ambientali degli ultimi 20 anni [...].
 
(*) Managing director di Venice Shipping and Logistics 
 
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