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Cosa succede a Gioia Tauro

Il 9 agosto un referendum ha bocciato gli accordi sulla cassa integrazione basata sul numero di assenze. I lavoratori chiedono maggiori garanzie sull'occupazione


di Paolo Bosso 
 
Pareva che l'assenteismo fosse sparito dal porto di Gioia Tauro, una delle cause (ma non l'unica), dell'abbandono dell'armatore Maersk dai terminal dello scalo calabrese, invece pare che le cose non siano cambiate. Lo dice un referendum tenutosi il 9 luglio tra i lavoratori dello scalo. In realtà le cose non stanno così, non si è votato "per l'assenteismo" ma sull'accordo del luglio 2011 che legava la cassa integrazione alla produttività: chi si presenta al lavoro con una percentuale di giorni lavorativi in tre mesi dell'82 per cento restava al suo posto, chi scende sotto questa soglia va in cassa integrazione lasciando spazio a un altro. Un accordo voluto dall'armatore Gianluigi Aponte di Msc, tornato dopo l'abbandono della compagnia danese. Tutto messo nero su bianco l'anno scorso e riconfermato a luglio di quest'anno, finché il 9 luglio, con il risultato del referendum, gli accordi sono stati messi in discussione col risultato di far ripartire la cassa integrazione a rotazione per tutti i lavoratori.
I motivi dietro la bocciatura non sono legati all'assenteismo; con questo no i lavoratori non dicono: "Vogliamo lavorare di meno", piuttosto "non vogliamo la minaccia della cassa integrazione come spinta per andare a lavorare". A spiegare nel dettaglio l'opposizione ci pensa Antonio Pronestì, segretario del Sul, che spiega a Linkiesta: «Non ci opponevamo alla cassa, indispensabile, ma alla mortificazione dei diritti civili. Il criterio dell'assenteismo (quel 16% di quota ndr) avrebbe portato i lavoratori malati a presentarsi al lavoro e avrebbe sterilizzato gli effetti della legge 53/2000 sui congedi parentali. Questo non significa che i lavoratori non manterranno l'alto senso di responsabilità finora dimostrato: del resto la produttività aveva cominciato a crescere già prima dell'accordo del luglio del 2011, grazie alla semplice sostituzione di un dirigente».
I criteri sono sbagliati secondo Sul e Uiltrasporti: rotazione a zero ore in base a parametri di assenteismo, merito e comportamento; i lavoratori sarebbero stati giudicati ogni tre mesi sulla base di un punteggio. Il referendum parla chiaro: «Su 1.013 votanti – ha spiegato al Secolo XIX Mimmo Macrì del Sul, promotore del referendum – 583 hanno votato contro l'accordo e 410 a favore, con 16 schede nulle e 4 bianche», in pratica una risposta contro l'espropriazione, secondo la Sul, di «diritti di civiltà». Il problema è che «l'accordo – aggiunge Giuseppe Rizzo (Uiltrasporti) – potrebbe anche andare bene, anche se alcuni punti andrebbero rivisti».
Il nodo è la rivisitazione del piano industriale. Non basta far rientrare gli operai "costringendoli" a lavorare, quello che chiedono sono garanzie contrattuali che con la scure della cassa integrazione sembrano non esserci affatto. Solo Filt-Cgil resta sul fronte del sì ribadendo «la bontà e la positività dell'accordo con il quale si è inteso garantire certezze, stabilità, crescita del porto e prospettive di occupazione crescente». «Nel 2011 – continua Rizzo di Uiltrasporti - abbiamo firmato perché la cassa integrazione era dovuta a uno stato di crisi certificato dall'Autorità portuale. Adesso invece si parla di riorganizzazione, ci sono 467 esuberi, personale che alla fine dei due anni dovrà essere ricollocato». Medcenter Container Terminal va avanti a testa alta - «proseguiamo come prevedono le norme sulla cassa integrazione, senza applicare i criteri previsti dall'accordo, con una rotazione indifferenziata» - e Domenico Bagalà, amministratore delegato Mct, rassicura che entro la fine di questo mese ci sarà un piano industriale.
Insomma, più che poca voglia di lavorare, a Gioia Tauro c'è voglia di un futuro.