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19 aprile 2024, Aggiornato alle 18,53
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Cultura

Il mare in tre domande a... Patrizia Varone

Una giornalista e curatrice ci svela come arte e fotografia raccontano il Mediterraneo


di Marco Molino 

Antico e moderno al tempo stesso, il bacino del Mediterraneo è il vero laboratorio della storia, con tre continenti e tre grandi religioni monoteiste che si fronteggiano in un'area geografica relativamente ristretta. Per millenni, sulle sue sponde, si sono incontrati e scontrati popoli e tradizioni, spesso senza comprendersi, ma pur sempre alimentando una "contaminazione" reciproca e collettiva che è ancora in atto.


Patrizia Varone, migrazioni, guerre e commerci sono stati i veicoli principali di una costante evoluzione sociale e culturale. In che misura l'arte ha contribuito a questo vivificante (anche se talvolta lacerante) rinnovamento degli spiriti?
«Parto dall'idea che l'arte è di per sé espressione umana. Dalle tracce delle mani sulle pareti delle caverne ai primi tratti che mostrano scene di caccia, l'uomo ha sentito la necessità di lasciare un segno della sua presenza nell'ambiente che viveva e in relazione al mondo. L'espressione "necessaria" porta con sé l'idea, e sono al secondo elemento, che l'essere umano prova da sempre il bisogno di sentirsi in relazione con il mondo e con altri esseri umani. In conclusione l'arte, espressione necessaria, è uno dei primi mezzi attraverso cui l'uomo si mette in relazione con l'altro da sé, con il mondo e prende coscienza di sé. L'azione dell'usare un mezzo espressivo non è altro che il riconoscimento dell'essere umano, individuo, in relazione all'altro. Dunque l'atto artistico porta con sé, fin dal principio, l'essenza della relazione con altro da sé e dunque dell'evoluzione e della crescita».

I popoli del Mediterraneo sono indissolubilmente legati alla cultura del mare. Abitudini, stili di vita, tradizioni. Certi elementi comuni che si ritrovano anche in luoghi geograficamente lontani, tra genti di lingue e storie profondamente (apparentemente) diverse. In che modo, senza cadere negli stereotipi, l'arte e la fotografia possono raccontare questo sotterraneo, comune sentire?
«Riallacciandomi a ciò che prima dicevo dell'arte, il Mediterraneo ha la fortuna di essere un mare/lago intorno al quale gli esseri umani hanno trovato un habitat accogliente. Condizioni agevoli hanno facilitato la stanzialità e lo sviluppo di società che grazie alla "necessità" di interagire con il territorio e altre popolazioni, hanno esplorato territori e viaggiato per mare. Penso ai Babilonesi, ai Fenici, ai Greci, includendo anche Creta, a Cartagine, a Roma e in seguito ai Saraceni. Questi popoli spostandosi sono venuti in contatto con altre popolazioni determinandone mutamenti e lasciandone le tracce. Ma acquisendo essi stessi nuovi strumenti e dunque evolvendo nel mutare. Tutte le culture del Mediterraneo, le architetture stesse lo testimoniano, sono il risultato di continui scambi e conoscenze che hanno lasciato tracce simili e comuni a tutti. Se pensassimo solo all'idea di "Torre di Babele", alla matematica, alla medicina, all'astrologia ci renderemmo conto che tutto ciò che ha rappresentato la conoscenza umana del mondo e di sé, è frutto di interazioni, dovute ad invasioni, guerre, scambi commerciali o semplice spostamento di popoli con l'intento di creare nuovi insediamenti umani e nuove città. L'evoluzione umana è relazione con altro da sé, il mondo e altri popoli, e il Mediterraneo per le sue caratteristiche geofisiche, ne è un laboratorio da sempre. La fotografia, che è linguaggio documentario e artistico, può agire sia nel senso di far conoscere dettagli di questa cultura millenaria finora poco diffusi, sia elaborare dal punto di vista artistico, nuovi linguaggi e continuare a raccontare ciò che è già insito nelle radici del Mediterraneo: una cultura ancestrale che è sempre nuova».

Una fitta rete di rapporti tra individui e nazioni, uno scambio sempre più intenso di conoscenze. Il Mediterraneo del terzo millennio può evolvere facendo viaggiare le idee e i valori. In che misura il messaggio artistico può contribuire in modo propositivo a questo auspicabile processo di maturazione?
«Il Mediterraneo, e con sé l'artisticità vissuta attraverso qualsiasi linguaggio inclusa la fotografia, ha già in sé i semi del nuovo. Basta guardarsi intorno, relazionarsi e vedere di cosa si occupano gli artisti, e dunque i fotografi, giovani. O in generale, inquadrare l'arte e la fotografia sviluppata finora. La relazione con il mondo anche se espressione del proprio occhio o della propria anima, contiene la relazione con il mondo e con l'altro. È, dunque, inclusiva perché l'artisticità contiene in sé l'idea dell'altro: l'artista/fotografo lavora e vive il suo essere artista/fotografo per stare bene e per mostrare all'altro ciò che crea. L'altro è sempre presente nel lavoro artistico e negli ultimi anni addirittura l'altro, il fruitore, diventa esso stesso attore e dunque collaboratore dell'opera d'arte stessa. E cosa c'è di più maturo, evolutivo e geniale nella trasmissione della conoscenza, dell'operare insieme all'altro?»

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Patrizia Varone è giornalista professionista, curatrice e appassionata di fotografia. Predilige progetti espositivi che valorizzano la cultura, l'ambiente e i diritti umani. Interessata alla geopolitica, mantiene uno sguardo attento sull'attualità e sull'essere cittadini del terzo millennio. Si occupa di ideare e gestire progetti artistici, incluse le campagne stampa, per cui collabora con vari enti. È parte della direzione di "Mediterraneo: fotografie tra terre e mare", una rassegna nata nel 2012 nell'intento di raccontare l'evoluzione del medium fotografico attraverso la cultura mediterranea e l'essere sociali come valore essenziale. Collabora alle pagine culturali di la Repubblica Napoli. Scrive testi per cataloghi d'arte e coordina pubblicazioni. Come autrice i suoi racconti sono inseriti in antologie su cultura mediterranea e relazione tra persone e spazi urbani