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25 aprile 2024, Aggiornato alle 19,07
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L'identità pigra e confusa del napoletano

In occasione dell'assemblea degli Industriali di Napoli, Ipsos ha presentato una ricerca sulla qualità della vita nella città campana. Sulla base di un campione di circa mille intervistati emerge un forte pessimismo. Scarse opportunità di lavoro, clientelismo e assenza di regole la fanno da padrone. Ma la città ha molto da offrire con il suo porto e la forte spinta al turismo che ha provocato di Paolo Bosso  

Anomia. E' questo il termine più adatto per descrivere il sentimento più diffuso dei napoletani che emerge dalla ricerca Ipsos. L'indagine statistica della società di ricerche di mercato con sede a Parigi è stata presentata ieri in occasione dell'assemblea dell'Unione Industriali di Napoli a cui ha partecipato, tra gli altri, il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. 
Anomia è una parola di origine greca (a-nomos) che significa letteralmente "mancanza di norme". Non si tratta, è bene precisarlo, di un semplice stato soggettivo dell'individuo ma, come Émile Durkheim ci ha insegnato, dell'assenza oggettiva di un sistema culturale di riferimento costituito da norme, valori e tradizioni. Nel nostro caso specifico il quadro tratteggiato da Ipsos delinea una città a cui manca il polso delle "istituzioni", un contesto che il napoletano avverte personalmente nell'assenza di regole civili di condotta. Napoli parla di Napoli: presente e futuro della città secondo i napoletani è il titolo della ricerca Ipsos condotta sulla base di un campione di circa 900/1000 interviste con un'età che va dai 16 ai 64 anni. Di questo campione, 600 è costituito dalla popolazione residente e il resto da opinion leader e aziende.
Il dato più rilevante che emerge è la contraddizione tra la consapevolezza degli annosi problemi che affliggono Napoli e l'atteggiamento utile del cittadino per risolverli. La percezione di anomia, infatti, è rappresentata principalmente dalla spinta all'individualismo, una "malattia" endemica che trova nella camorra e in generale in ogni atteggiamento clientelare la misura del gap tra cittadino e politica. Eppure ben il 51% degli intervistati delega alla politica con le sue "persone giuste" il catalizzatore del cambiamento, mentre solo il 18% confida nell'azione dei singoli cittadini e il 7% nelle istituzioni. Si tratta, quindi, del tipico status del cittadino de-responsabilizzato: esso riconosce la natura dei problemi della sua città ma delega ad "altri" il dovere di risolverli. Il ritratto Ipsos del cittadino partenopeo è quello di un fatalista che vive in un territorio che "non si muove mai", e che se si muove lo fa per "moti verticali", ovvero senza la partecipazione diretta della società civile.
E' chiaro quindi come in questo contesto il pessimismo dilaghi con la conseguente insoddisfazione per la qualità della vita. L'84% degli intervistati, infatti, è insoddisfatto del proprio tenore di vita, e il 62% la ritiene addirittura peggiorata, mentre il 27% invariata. 
Napoli è il luogo in cui i problemi tipici di una città diventano patologie croniche, con la gestione dei rifiuti emblema per antonomasia. Preoccupante è che le aziende (65% del campione) più che i cittadini (59%) lamentino l'assenza di progetti credibili e a lungo termine. Per quanto riguarda l'occupazione, invece, quasi tutte le persone intervistate (94%) vedono nella città scarse opportunità di lavoro. L'80% dei cittadini e degli imprenditori ritiene che il territorio non favorisca la vocazione imprenditoriale e chi si allontana da Napoli non trova sufficienti motivazioni per ritornare.
Ma veniamo agli aspetti positivi su cui la città può contare. Se c'è un settore sempreverde e mai sfruttato a dovere che permetterà il rilancio della città questo è sicuramente il turismo. Rappresentativo dell'incapacità del territorio di sfruttare le proprie risorse (il Maggio dei Monumenti di quest'anno è stato uno dei peggiori della storia), ben il 77% dei cittadini vede in questo settore l'ambito su cui puntare di più, seguito dall'artigianato (36%) e dall'industria manifatturiera (21%). Ed il porto di Napoli potrebbe essere uno dei luoghi principali di questo cambiamento. Il numero degli sbarchi alla Stazione Marittima non ha niente da invidiare a nessun'altra città di mare. Napoli è la terza città d'Italia dopo Civitavecchia e Venezia per numero di crocieristi. Risultato, questo, ottenuto senza grandi sforzi da parte dell'amministrazione comunale visto che è il frutto degli investimenti di armatori, terminalista e Autorità Portuale dello scalo. Infine, un altro punto fermo è la qualità dell'insegnamento. L'82% ritiene che le università napoletane siano tra le migliori, allo stesso modo dei licei (81%) e delle scuole medie/elementari (79%).
Il ritratto del napoletano che emerge da questa ricerca è quello di un cittadino dall'identità confusa, ambigua e sfuggente ma fondamentalmente pigra. Il napoletano tratteggiato da Ipsos ha un'immagine anacronistica di se stessa, legata ancora al passato. La maggior parte degli intervistati, infatti, ritiene che una delle principali cause della irresponsabilità dei cittadini risieda nel suo vissuto storico fatto di colonizzazioni e dominazioni straniere. Eppure si tratta di avvenimenti ormai abbondantemente superati che non hanno più un'influenza significativa. E' dal 30 settembre del 1943 che la città non è più occupata dagli stranieri. Pochi lo sanno ma Napoli è stata una delle prime città europee ad insorgere con successo contro l'occupazione nazista, molto prima di Parigi, liberata quasi un anno dopo nell'agosto del ‘44. Ripetere ancora, 68 anni dopo, il mantra dell'"occupazione straniera" non ha quindi più senso, se non come discorso da bar sport. 
Secondo i dati Ipsos il napoletano vuole un "coinvolgimento forte e diretto" sul proprio futuro. Ma è ovvio che, affinché ci sia questo cambiamento, esso debba venire dagli stessi cittadini senza alcun "eroe carismatico". Insomma, i napoletani conquisteranno un'identità quando questa sarà costruita sulla base del senso civico, che implica il coinvolgere se stessi prima ancora di farsi coinvolgere. 
 
Paolo Bosso