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Eventi

Dopo Expo, cosa resta del mare?

La cronaca di un incontro genovese tra commercialisti liguri e campani. Con loro avvocati, armatori e operatori


di Arturo Capasso 
 
Venerdi 17 giugno presso la sala Quadrivium di Piazza Santa Marta a Genova, professionisti e imprenditori del mondo marittimo e portuale hanno preso parte al workshop "Il cluster marittimo come fattore di rilancio dell'economia nazionale". L'iniziativa è stata promossa dal Consiglio Nazionale dell'Ordine dei Dottori Commercialisti, con la collaborazione degli Ordini di Genova e di Napoli. Ha visto il coinvolgimento anche dell'Ordine degli Avvocati e dei consulenti del lavoro del capoluogo ligure. 

Nell'intenzione dei promotori si è trattato della continuazione di un discorso iniziato lo scorso ottobre a Milano. L'evento milanese si collegava al tema dell'Expo 2015 "Nutrire il Pianeta" e analizzava i molteplici imprescindibili collegamenti della risorsa mare con la produzione e il trasporto dei prodotti alimentari. L'interesse suscitato e l'attualità delle tematiche dibattute hanno indotto gli organizzatori a progettare una serie di workshop da realizzare nelle  città italiane a più spiccata vocazione armatoriale e marittima. L'appuntamento di Genova è stato pensato, dunque, come l'occasione per promuovere l'apertura di un tavolo di confronto permanente fra dottori commercialisti, imprenditori e professionisti del settore marittimo portuale per fare della risorsa mare uno degli assi portanti del rilancio economico. 

In Italia, infatti, l'economia del mare crea valore per oltre 32 miliardi di euro e dà lavoro a circa mezzo milione di persone, come ben documentato nel Quinto Rapporto sull'Economia del Mare, pubblicato nel 2015 a cura di Censis e Federazione del Mare. Tuttavia, come è stato osservato nell'introduzione ai lavori, esiste un legame molto stretto fra lo sviluppo dei diversi settori e le politiche seguite a livello centrale e locale. Lo sviluppo più consistente si è registrato, non a caso, in quei comparti in cui lo Stato ha adottato una politica attenta alle esigenze del settore. Così è stato, ad esempio, per l'armamento con la creazione del Registro internazionale per la marina mercantile italiana. Altri settori, in particolare i porti e il diporto nautico, hanno sofferto per ritardi e inefficienze, se non, come nel caso del diporto nautico, di politiche decisamente ostili al settore. Si comprende pertanto come lo scopo del tavolo di lavoro sia anche, come commentato da Achille Coppola, segretario nazionale dei commercialisti italiani, «produrre una serie di proposte di interventi normativi o amministrativi che possano contribuire allo sviluppo: l'economia del mare». Su questo tema hanno insistito i primi relatori, che hanno fatto riferimento proprio alla realtà della città ospitante. L'ammiraglio Giovanni Pettorino, commissario dell'Autorità portuale di Genova, ha ricordato come l'imminente apertura del nuovo canale di Panama rappresenti un'occasione imperdibile per lo scalo ligure, che deve farsi trovare pronto ad intercettare nuovi volumi di traffico. Questo però significa aggiornare impianti e infrastrutture, come sottolineato dal presidente dei commercialisti genovesi, Massimo Scotton, che lamenta una situazione bloccata e una città sostanzialmente isolata. Non sono stati fatti passi in avanti per incentivare lo sviluppo dell'economia marittima e quindi, secondo Scotton, è giunto il momento di agire e di attivare questa potente macchina sfruttando le risorse e le occasioni. Lo sviluppo del porto non è però politicamente un argomento scontato, come ha fatto notare l'assessore comunale allo Sviluppo economico Emanuele Piazza, che ha evidenziato la necessità di "avvicinare" porto e città, altrimenti, sostiene l'assessore, i progetti di sviluppo sono osteggiati da parte della cittadinanza che vede nell'ampliamento delle attività portuali un peggioramento della vivibilità, in termini di inquinamento, traffico, disagi. «Porto e economia del mare sono invece il motore della città- ha detto Piazza -senza questo non c'è vita e ricchezza», ribadendo il suo sostegno ad importanti progetti come il Blueprint e l'unione tra i porti di Genova e Savona.
 
Successivamente sono intervenuti i principali operatori del porto di Genova, che ne hanno tracciato un ritratto realista, con luci ed ombre. «Il nostro governo è più rigido nel rispettare le regole rispetto ad altri Paesi -ha affermato Stefano Messina, presidente del gruppo Messina- invece dovrebbe avere un approccio più attento alla spinta agli investimenti, in infrastrutture e navi». Infrastrutture e semplificazione amministrativa sono stati anche i temi dominanti di altri autorevoli relatori come Carlo Cameli (direttore generale della Fratelli d'Amico), Gian Enzo Duci (presidente Federagenti), Luigi Negri (presidente Finsea), Alessandro Pitto (presidente Spediporto), Liliana Speranza (consigliere dell'Ordine dei Commercialisti di Napoli), Luca Trabattoni (consigliere dell'Ordine dei Commercialisti di Genova). 

Nella seconda parte del workshop la discussione si è spostata sulla crisi dell'industria armatoriale e sulle trasformazioni in atto nella finanza, nell'organizzazione e nella governance delle compagnie di navigazione. Ne hanno discusso Mariano Bruno (Partner Deloitte), Francesco Fuselli (amministratore delegato di Banchero e Costa), Gaudenzio Bonaldo Gregori (Pillarstone), Massimo Miani (consiglio nazionale dei Dottori Commercialisti), Francesco Vettosi (Managing Director di Venice Shippng and Logistics), Aldo Campagnola (Studio Campagnola). 
Tema portante del dibattito, moderato da Achille Coppola, è stato il difficile scenario apertosi con la grave crisi mondiale che, a partire dal 2008, ha colpito le attività economiche e finanziarie. La crisi si è tradotta nel crollo dei noli e del valore delle navi, proprio nel momento in cui gli armatori avevano prodotto il massimo sforzo di investimento nell'ampliamento e nel rinnovo delle flotte. Il credito bancario, tradizionale fonte di finanziamento per gli armatori, è divenuto sempre più raro. Anzi le banche cercano di smobilizzare gli ingenti portafogli di crediti accumulati nei confronti delle imprese armatoriali. Questa difficile congiuntura impone problematici  cambiamenti negli assetti organizzativi e nelle strategie delle imprese, per le quali la sostituzione del capitale di debito con capitale proprio non è scevra di conseguenze sulla governance e sull'autonomia gestionale. 
Illuminante al riguardo è stato il contributo di Fabrizio Vettosi, che ha provato a mettere ordine nella complessa materia del private equity, cercando di differenziare tra soggetti e ruoli (Private Equity, Distressed Investors, Special Situations Investors, Private Debts, Capital Market). Su questo tema è stata interessante l'analisi fatta dai diversi intervenuti, proprio perché hanno inquadrato il problema con ottiche differenti. Il rappresentate del gruppo Pillarstone, braccio operativo nel Distressed Debt del grande fondo USA KKR, ha spiegato la filosofia di intervento alla base della loro strategia, che oggi li vede, tra l'altro, impegnati nella ristrutturazione di Premuda. Mariano Bruno, ha discusso le implicazioni contabili, nonché l'impatto delle nuove normative in merito della obbligatoria iscrizione in bilancio delle operazioni sui derivati. Aldo Campagnola, impegnato professionalmente in operazioni di concordato preventivo, ha spiegato le complicazioni che si possono produrre per effetto dei ritardi nella gestione delle procedure concorsuali. Sul fronte delle motivazioni della crisi, sembra potersi affermare che gli Investitori hanno avuto un ruolo relativamente marginale nell'over-ordering degli anni scorsi, in pratica hanno pesato per meno del 20% laddove la gran parte delle newbulding siano state frutto dell'iniziativa spontanea degli armatori, anche perche' l'eccesso di offerta si deve soprattutto al naviglio ordinato fra il 2006 e il 2008 quando i fondi  erano praticamente assenti. D'altra parte, la crisi dell'industria bancaria, associata ad un lungo momento di rendimenti negativi, potrebbe portare ad un processo di disintermediazione del credito con lo sviluppo dello "shadow banking" (Fondi di Private Debt) e del mercato dei Bonds, cosa che si sta gia' riscontrando in realta'.

La conclusione che sembra emergere dall'intenso dibattito è che una crisi sicuramente anomala come tempi rispetto a quanto sperimentato in passato, impone cambiamenti strutturali nell'approccio al business, sarà probabilmente necessario reingegnerizzare le imprese di shipping con maggiore attenzione ai processi organizzativi ed ai fattori intangibili come information technology e risorse umane, per relazionarsi in modo differente con la domanda e con il mercato. Si tratta indubbiamente di una sfida affascinante alla quale i dottori commercialisti, possono dare un contributo rilevante. I prossimi appuntamenti toccheranno altre città portuali come Napoli, Palermo Bari, Venezia, Gioia Tauro, anche in queste occasiioni lo scopo sarà essenzialmente quello di valorizzare gli apporti interdisciplinari sulla risorsa mare come fattore di rilancio dell'economia nazionale.