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28 marzo 2024, Aggiornato alle 16,33
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Politiche marittime

Porti, Agcm: "L'autonomia non si fa con l'Iva"

Secondo l'Antitrust la trattenuta del gettito è un criterio anarchico che non premia i porti che fanno più traffico ma semplicemente quelli più tassati


di Paolo Bosso 
 
L'autonomia finanziaria dei porti non si fa sulle sole tasse perché altrimenti salterebbe il criterio meritorio, quello per il quale chi fa più traffico deve avere in cambio più risorse di altri. Lo ha stabilito l'Autorità garante della concorrenza e del mercato (Agcm) nel suo ultimo bollettino con una nota indirizzata (indirettamente) a Parlamento e ministero dei Trasporti. «Un criterio di ripartizione di un fondo di finanziamento destinato all'adeguamento delle infrastrutture portuali basato sull'ammontare dell'Iva», scrive l'Agcm, non è idoneo «a quantificare equamente il reale flusso dei traffici portuali», pertanto «appare in contrasto con i principi posti a
tutela della concorrenza e del mercato».

La critica dell'Antitrust è rivolta all'articolo 18bis della legge 84/94, introdotto con decreto legislativo (83/2012) attuato interministerialmente il 28 febbraio 2014. Istituisce un fondo per il finanziamento delle opere portuali alimentato su base annua in misura dell'un per cento dell'Iva sull'importazione delle merci, nel limite di 70/90 milioni di euro annui (considerati briciole dagli operatori). Un criterio che secondo l'Agcm non dà autonomia su base egalitaria, determinando piuttosto un sistema anarchico della ripartizione dei fondi. 

La ragione è semplice: la tassa non è semplicemente proporzionata alla quantità della merce ma anche alla "qualità", al tipo, al luogo in cui viene movimentata e a tanti altri fattori alcuni dei quali slegati dallo stesso prodotto a cui è applicata un'imposta. In altre parole, un sistema di questo tipo non avvantaggia i porti che movimentano di più ma quelli che vedono applicarsi semplicemente più tasse. «L'Iva sulle merci in entrata – spiega l'Agcm - da un lato non considera quella parte dell'imposta che non viene riscossa in virtù di esenzioni fiscali (come nei casi di applicazione dei codici tributo 406 e 407), dall'altro favorisce i porti presso i quali viene movimentata merce ad alta aliquota Iva, come avviene nel caso dei prodotti petroliferi, anche quando scarico e movimentazione della merce non richiedono particolari opere infrastrutturali». Tra l'altro, secondo l'Antitrust, questo principio contrasta con quello contenuto nel piano nazionale della logistica elaborato a inizio anno. E infatti non è un caso se nell'ultima bozza di riforma della legge 84/94 l'articolo 18bis non figura.
 
Qual è allora la giusta autonomia finanziaria da adottare per i porti? Quella che tiene conto, spiega l'Agcm, dell'«incidenza del traffico complessivo di ciascun porto rispetto al traffico dell'intera portualità nazionale (art. 9 della legge n. 413/1998 e relativo decreto attuativo D.M. 3 giugno 2004; art. 36 della legge n. 166/2002 e relativo decreto attuativo D.M. 2 maggio 2001), nonché il criterio dell'incidenza dei traffici adottato dalla legge n. 84/1994». Magari un criterio siffatto non è ancora abbastanza, perché non premia le realtà emergenti ma quelle già sviluppate. Allora «ad essi – conclude l'Agcm - potrebbero essere affiancate misure premiali, cui pure si fa cenno nel Piano Strategico Nazionale della Portualità e della Logistica, volte a favorire i porti che nell'ultimo triennio abbiano evidenziato un trend positivo nei volumi di merci importate».
 
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