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29 marzo 2024, Aggiornato alle 12,33
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Cultura

Donne a bordo, l'altra faccia del mare

Decio Lucano commenta il libro in cui Lucilla Cechet racconta le sue esperienze di vita e lavoro sugli oceani di tutto il mondo


di Decio Lucano - DL News

È arrivato in porto il romanzo di Lucilla Cechet Un chador appeso (a un chiodo) in una stiva (Youcanprint). L'hai letto in bozza, sono passati anni, e ti ha convinto, perché sulle donne a bordo avevi scritto un lungo articolo nella terza pagina del Secolo XIX (17 novembre 1971) dal titolo La moglie in plancia. Ma le mogli dei marittimi sono donne speciali, perché sono loro a educare i figli. Erano pochi anni che la legge italiana consentiva (1966) l'imbarco delle mogli degli ufficiali superiori a bordo di navi di bandiera, anche se le baleniere americane imbarcavano già nell'800 a Nantucket le mogli dei capitani e la scrittrice Lilla Mariotti ha scritto molte pagine su queste donne esclusive, ma in Italia, paese agricolo nemmeno a pensarci.

Quando Lucilla Cechet è apparsa all'orizzonte, un filo di fumo dal "camino", abbiamo tirato un sospiro di sollievo. Lucilla fa la free lance a Trieste menando fendenti e sposando "senza se e senza ma", come si dice oggi, la causa dei marittimi. Soprattutto dei giovani che si preparano alla vita di mare  sia come ufficiali che come comuni; e lei per non dimenticare la sua esperienza di bordo era diventata anche Ship's Visitor della Stella Maris. Era scritto nel tempo che questa storia autobiografica dovesse approdare col gran pavese. La percezione del tempo ha una sua variabilità a seconda dell'individuo, lo ha intuito Proust un secolo fa. Il libro porta il suo carico di memorie. La memoria, il passato anni ottanta, una grossa nave portarinfuse, Esperanza, e lei, l'autrice, unica donna nel ruolo di stewardess.

L'Esperanza nel delta tra l'Eufrate e il Tigri in mezzo alla guerra Iran-Iraq, una minuziosa cronaca narrativa di profili di ufficiali e piccoli di camera, la saletta ufficiali come cuore della nave. E poi il viaggio per l'Australia e il ritorno nel Golfo Persico. Infine lo sbarco a Bassora e il rientro a Trieste. Un matrimonio in crisi, l'innamoramento con il comandante Lupo, un nome che ti ricorda il Lupo di London in certi suoi comportamenti, si direbbe non umani ma per questo capitano dell'Esperanza anche momenti dolcissimi, e lei  come una perduta ancella ai suoi piedi. Il nuovo imbarco su un'altra bulk carrier, Fidelity, per gli Stati Uniti con Lupo. Lei racconta, racconta, appassionatamente e meticolosamente il suo lavoro di donna a bordo, sola al lungo corso con equipaggi misti, destreggiandosi come un felino di razza che intuisce la psicologia dei compagni di viaggio, dell'uomo "marittimo" ognuno nel proprio ruolo, la vita e l'organizzazione di bordo, che  descrive con i suoi commenti salaci e ironici, ma anche poetici.

Il romanzo comincia con un'ode, poesia in prosa, Ciao Marinaio, e finisce con Preghiera, tutto in corsivo per separare lo stato d'animo in circostanze diverse dalla cronaca dei viaggi. Lucilla vorrebbe dedicare il romanzo ai giovani che vogliono scegliere la vita sul mare come lavoro redditizio. In realtà è un romanzo d'amore, vibrante come le lamiere sotto sforzo del locale macchine della sua nave, donna civettuola quando prende il sole in costume dietro il fumaiolo per nascondersi da occhi curiosi la stewardess è come il felino che trova il suo cantuccio e sa come farsi coccolare. Lucilla, il tuo ideale chador l'hai appeso al chiodo di una stiva carica di grano.

Nell'originale immagine di copertina attrezzi e monete dal titolo "oro e lavoro" al Museo del mare di Danzica, che tu hai visitato, indomabile viaggiatrice, la conclusione è che il lavoro è oro. Lucilla si rivolge ai giovani: a bordo di una nave, qualsiasi nave troverai un ambiente che non conoscevi, farai un mestiere duro, disciplina soprattutto, che si svolge in un'altra dimensione umana, che però ti lascia il segno indelebile di una navigazione dell'anima che non troverai mai a terra.