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19 aprile 2024, Aggiornato alle 09,15
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Infrastrutture

Nautica, parola d'ordine: diversificare

La crisi del comparto è eterogenea. I fatturati delle piccole imprese resistono, l'occupazione tiene e gli ordini non sono in caduta come in altri settori. Ma le aziende devono indirizzarsi verso altre attività


Nella crisi della nautica a tenere sono le piccole imprese. Sulla base delle indagini effettuate da Cna Produzione Nautica e dall'istituto di ricerca Eures, presentata ieri a Carrara nel corso della rassegna Seatec. Dal 2008 a oggi, il 43% non ha registrato variazioni di fatturato, il 38,9% ha avuto cali compresi tra il 10 e il 30%, mentre solamente il 16,8% superiori al 30%.
Dall'indagine, condotta su 211 imprese della filiera nautica associate alla confederazioni del centro-Nord e in Sardegna, emerge un mercato che nell'ultimo anno si è diversificato, proprio per reagire alla crisi, contando sul prodotto made in Italy. 
I sondaggi indicano che ben l'81,8% segnala una sostanziale stabilità sul fronte occupazionale, mentre il 17,2% dichiara una riduzione degli addetti. Più stabile la quota del mercato estero che per il 92,1% delle imprese non ha subito variazioni. Soltanto il 5% lo indica in diminuzione mentre per il 2,9% è in aumento. 
L'imperativo attuale è quindi diversificare. Di fronte ad ordini che, rispetto alle navi di grandi dimensioni, non sono in calo, le aziende si indirizzano verso altre attività, soprattutto verso quelle di riadattamento (34,6%), che consentono una maggiore continuità di lavoro, un rapporto diretto con il cliente finale e più liquidità. Seguono le costruzioni in vetroresina (22,7%), rimessaggio (18,5%), impiantistica elettrica, idraulica e ventilazione (17,5%), arredi e lavorazioni in legno (12,3%) e in altri materiali (13,3%). Al di là delle specifiche attività, secondo l'indagine, la qualità del made in Italy resta, nella percezione del campione, un vantaggio competitivo quasi strutturale, difficilmente recuperabile nel medio termine da parte della concorrenza estera. Una consapevolezza che però viene minata sempre più dalla globalizzazione, lo spostamento degli equilibri economici mondiali e la domanda del settore verso i paesi emergenti.
Al di là delle letture a breve termine, il 73% delle imprese non prevede per i prossimi 3-5 anni un ritorno dei livelli di redditività del periodo pre-crisi antecedenti al 2008; una prospettiva definita "improbabile" dal 36,5% del campione e "impossibile" da un altrettanto 36,5%; soltanto l'8,5% delle imprese immagina di recuperare nel medio termine quote di fatturato, un'eventualità ritenuta "possibile" dal 18,5%.