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19 aprile 2024, Aggiornato alle 09,15
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Politiche marittime

Merlo: "Rimuoviamo i porti dall'elenco Istat"

Da Confcommercio una vecchia proposta che tiene banco da almeno sei anni


di Paolo Bosso

«Nei prossimi tre mesi bisogna capire se si può intervenire per rimuovere i porti italiani dall'elenco Istat delle amministrazioni pubbliche. Mai come oggi le autorità di sistema portuale hanno tante risorse pubbliche che non riescono a spendere. È un contesto nel quale il ministero dell'Economia vale più di quello dei Trasporti». La proposta, che non è nuova, la rilancia Luigi Merlo di Confcommercio, nel corso dell'assemblea Angopi (ormeggiatori) tenutasi venerdì a Napoli. «Non credo che l'elenco Istat sia il problema dei porti italiani», gli risponde Patrizia Scarchilli, componente della direzione generale delle autorità portuali del MIT. «Burocrazia, incapacità dei direttori generali di firmare gli atti e leggi ambientali, sono piuttosto questi gli interventi da fare».

Il depennamento o il mantenimento delle autorità portuali nell'elenco Istat è una vecchia questione, iniziata – in tempi recenti - nel 2012 con la protesta dei dipendenti delle authority contro il blocco degli stipendi legato al piano di austerity del governo Monti. Lì la questione era parziale – gli stipendi dei dipendenti pubblici delle authority, sottoposti al regime d'impiego di diritto privato – ma era all'interno di una problematica più vasta che richiama la natura giuridica delle autorità portuali, enti pubblici non economici che concedono il demanio pubblico alla gestione da parte dei privati. Una terra di mezzo che a seconda dei casi può essere vista, tanto nell'assetto giuridico che nella pratica dell'ente, come privata o pubblica. È un tema pregnante perché chiama in causa il rapporto tra l'ente pubblico porto e gli imprenditori che operano lì pagando un canone di concessione, rapporto che determina, insieme al contesto di mercato, lo sviluppo del traffico portuale. La DG Competition di Bruxelles tiene aperta dal 2013 un'indagine che chiede sostanzialmente ai porti di pagare le tasse, perché «sono coinvolte in attività economiche». Per la DG Competition, non facendo pagare le tasse alle authority portuali, «l'Italia rinuncia a una parte di entrate che costituiscono risorse economiche per lo Stato. Così la misura di esenzione si configura come perdita per le casse centrali» e può essere soggetta ad aiuti di Stato. Ma la contraddizione è che le tasse dovrebbe pagarla l'autorità di sistema portuale, un ente pubblico, che incassa però canoni dai privati. E così via, all'infinito.