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25 aprile 2024, Aggiornato alle 19,07
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Cultura

Il mare in tre domande a... Michele Stefanile

Un archeologo subacqueo ci aiuta a scoprire il patrimonio storico che si nasconde nei fondali della Penisola


di Marco Molino 

Trovi un frammento di colonna dorica durante lo scavo di un palazzo. Fermi i lavori e chiami la Soprintendenza. La scoperta è interessante, ma forse non eccezionale in questa Italia scrigno mondiale del patrimonio culturale. Trovi lo stesso mozzicone di colonna sott'acqua, ricoperto di alghe e molluschi, e cominci a viaggiare con la fantasia pensando agli abitanti di Atlantide e alle avventure del capitano Nemo in Ventimila leghe sotto i mari di Jules Verne. Ebbene sì, le misteriose profondità marine aggiungono ad ogni ritrovamento quelle suggestioni che sulla terraferma, circondati come siamo dalla storia di pietra, abbiamo un po' smarrito.

Michele Stefanile, quali tesori archeologici si nascondono lungo gli ottomila chilometri di costa del Belpaese?

«L'Italia, per la sua posizione geografica e per la sua lunghissima e complessa parabola storica è un Paese estremamente ricco dal punto di vista archeologico; questa densità altissima di siti di ogni epoca non si arresta, evidentemente, al bagnasciuga, ma continua al di sotto del livello del mare, con una quantità incredibile di relitti, siti e strutture sommerse: impressionante la varietà di queste testimonianze del nostro passato, che includono antiche navi cariche di anfore, marmi, metalli, ma anche intere città con strade, mosaici e terme, un tempo popolate dai Romani e oggi attraversate da pesci. Stimare una ricchezza simile non è semplice: basti pensare che pochi anni fa un progetto di censimento voluto dall'allora ministero dei Beni Culturali (ArcheoMar) permise di identificare oltre 1.000 siti sommersi nelle sole acque di Campania, Puglia, Basilicata e Calabria, e che la Soprintendenza del Mare siciliana, l'unica in Italia, ha censito negli anni più di 700 siti: un patrimonio davvero unico».

Un patrimonio diffuso che risulta difficile da registrare e ancor di più da tutelare. Ma possiamo almeno inquadrare le buone prassi da seguire per una corretta gestione della ricchezza archeologica subacquea?
«Conoscere, tutelare, valorizzare; su questi principi si deve basare la gestione del patrimonio sommerso. L'Italia, uno dei primi Paesi al mondo ad occuparsi di archeologia subacquea, ha fatto sforzi importanti in questo senso, anche se in molti casi la politica ha dato un peso scarso o nullo alle nostre ricchezze disseminate lungo le coste, in mare, nelle acque interne. Oggi ci ispiriamo a dei principi ben delineati, quelli della Convenzione Unesco del 2001 per la protezione del Patrimonio Culturale Sommerso: principi che ci invitano a far conoscere i nostri siti subacquei, a lavorare sulla diffusione e sulla disseminazione di conoscenze, a immaginare nuove modalità di visita e di fruizione per dei tesori che, quando possibile, andrebbero lasciati in situ, nei luoghi di rinvenimento».

Cerchiamo di immaginare il museo sottomarino del futuro. Quali caratteristiche dovrebbe avere per coniugare la valorizzazione dei reperti, la salvaguardia dell'ambiente marino e le esigenze - anche ludiche - dei visitatori?
«Non è facile: occorre infatti coniugare le esigenze di tutela, di protezione dall'azione di danneggiamento del mare e degli organismi che vi risiedono, di difesa dal saccheggio di predoni e tombaroli in muta da sub, a quelle di fruizione e condivisione massima; solo un sito davvero aperto, infatti, viene percepito come un bene dalla comunità che lo custodisce, ed è questo l'unico modo per difendere contesti che per la loro stessa natura non possono essere chiusi da cancelli e muretti. Favorire, dunque, le visite ai siti per i subacquei e, quando le profondità lo consentono, per i turisti in snorkel, ma anche immaginare sistemi, oggi facilitati dalle nuove tecnologie, per rendere i medesimi siti accessibili, almeno in modo virtuale, anche a chi in acqua non può andare. Il Parco di Baia, nel Golfo di Napoli, è un ottimo esempio in questo senso: da un quindicennio, ormai, i centri sub, opportunamente formati dalla Soprintendenza, conducono sub da tutto il mondo sugli spettacolari mosaici baiani, mentre si lavora, anche grazie a importanti progetti europei, a modelli 3D e sistemi di esplorazione virtuale, comodamente utilizzabili da terra, dal vicino Museo Archeologico dei Campi Flegrei e finanche dal divano di casa. Senza neppure bagnarsi». 

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Michele Stefanile è archeologo subacqueo presso l'Università di Napoli "L'Orientale". Per lo stesso ateneo è responsabile, dal 2011, del laboratorio di Archeologia Subacquea e Navale e dal 2017 del laboratorio di Comunicazione Archeologica. Allo stesso tempo, lavora per l'ISCR-Istituto Superiore per la Conservazione ed il Restauro, nel Progetto MUSAS per la valorizzazione del Patrimonio Archeologico Subacqueo di Baia, Crotone, Kaulonia ed Egnatia; collabora con Apple per conto dell'Università di Napoli per la formazione di professionisti in grado di creare software per il patrimonio culturale; per il Southern Latium Underwater Survey è coinvolto nello studio della parte sommersa delle villae maritimae del Lazio Meridionale; per il progetto EDR – Epigraphic Database Roma, infine, è impegnato nello studio e nella digitalizzazione di circa 3000 iscrizioni elettorali pompeiane. È autore di una quarantina di pubblicazioni scientifiche e di oltre 300 articoli giornalistici, per differenti testate. Per Il Mulino ha recentemente pubblicato il volume Andare per le città sepolte