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10 maggio 2024, Aggiornato alle 20,10
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Infrastrutture

Gioia Tauro, la cattedrale del trasbordo

Costruita dal nulla quasi vent'anni fa, fu un'anomalia straordinaria. Poi la crisi. E ora si ritorna a 3 milioni di teu


Erano le 17.30 del 15 settembre 1995 quando CMBT Concord arrivò al porto di Gioia Tauro. Era la prima nave portacontainer per il Medcenter Container Terminal di Angelo Ravano, fondatore del gruppo Contship che gestisce il terminal del porto calabrese. Concord aveva 1.797 teu di capacità, oggi siamo a 14mila teu e quasi 3 milioni di teu l'anno, un terzo del traffico container annuale nazionale. Cifre lontane dagli anni d'oro, quelli precedenti il maledetto 2008, quando erano oltre 3 milioni i container movimentati e la strada era tutta in discesa. Poi il crack della finanza, seguito dal default delle banche, e dei governi. Poi un 2011 a 2,3 milioni di teu, un 2012 a 2,7 milioni e un 2013 ancora migliore.
«Senza quella idea imprenditoriale frutto di un pensiero originale e libero, dove saremmo stati oggi?» si chiede oggi, diciotto anni dopo la Concord, Domenico Bagalà, ad Contship. «Anni che diventano venti o trenta se si pensa al momento in cui Ravano, con la sua straordinaria lungimiranza, ha iniziato ad elaborare l'idea di un mercato con navi sempre più grandi che avrebbero avuto bisogno di porti sempre più infrastrutturali». L'"anomalia" Gioia Tauro è tutta qui. Anomala in un paese che non può fare, per geografia e cultura, progetti di questo tipo, più adatti a un porto nordeuropeo o cinese. Eppure l'ha fatto.
Mentre il 2014 è alle porte, Mct continua ad accogliere, ormai da anni, tre giganti a settimana da almeno 14mila teu. E' l'alleanza P3, quella fatta dalla danese Maersk, la svizzera Msc e la francese Cma Cgm, i primi tre armatori del globo, riuniti insieme per combattere l'oversupply, il sintomo della crisi del trasporto marittimo, riflesso di una domanda mondiale in stallo e di una flotta globale sempre più moderna e capiente. Recentemente, i tre colossi hanno espresso l'intenzione di aggiungere una quarta unità alle toccate settimanali dello scalo di transhipment del Sud Italia, così come hanno detto chiaramente di voler aumentare la dimensione media delle navi utilizzate nel servizio che collega, via Gioia Tauro, il Mediterraneo agli USA.
Tutto è possibile a Gioia Tauro, con i suoi fondali da 16 metri e gru di banchina con uno sbraccio di 22 file. «A Gioia Tauro c'è un'infrastruttura di eccellenza mondiale – continua Bagalà - capace di facilitare le scelte di qualsiasi operatore globale che ricerchi economie di scala ed un hub di transhipment sicuro ed affidabile». Presto ci saranno 16 metri di fondale su tutta la lunghezza delle banchine. 
Non stiamo parlando di un porto costruito adesso, realizzato con Pot Pon Fos europei, ma di un'idea vecchia di vent'anni e ancora attuale, nata quando Rotterdam e Amburgo riflettevano sulle potenzialità delle loro banchine. E il futuro? «Abbiamo bisogno di capire eventuali ulteriori requisiti per poter rispondere con prontezza» dice Bagalà. «Il fatto che si vedano qui navi sempre più grandi è un segnale importante che richiede un miglioramento continuo delle condizioni operative ed infrastrutturali». Il futuro potrebbe essere roseo. Se le previsioni sono realistiche, il Mediterraneo è destinato a vedere sempre meno container, ormai sempre più concentrati su pochi porti, massimo tre, nessuno italiano. Tutto ciò non può che favorire Gioia Tauro, che non è un porto container, ma un porto di trasbordo.