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19 aprile 2024, Aggiornato alle 13,17
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d'Amico: "L'Italia scelga se restare un Belpaese"

Il presidente FederMare si chiede se basti il turismo o se sia arrivato il momento di riprendere manifatturiero ed esportazioni


Per l'Italia è arrivato il momento di scegliere se restare solo un paese buono solo per il turismo, con tutte le decadenti conseguenze, o se riprendere quell'abilità che l'hanno resa un Belpaese (e che la rendono turistica): artigianato e manifattura, che per l'industria dello shipping significa esportazione.

Ne è convinto il presidente della Federazione del Mare e armatore Paolo d'Amico, intervenendo al convegno di Milano Geopolitica ed economia del mare, organizzato dalla Bocconi. «L'Italia - ha detto - deve operare ormai una scelta tra limitarsi ad un lento declino industriale e logistico che faccia del nostro Paese soltanto la destinazione preferita del turismo internazionale, o se mantenere, accanto a questo ruolo pur importante, anche quello di grande centro di manifattura e di esportazione. Un ruolo che l'Italia si è guadagnato con l'abilità, la dedizione, e il coraggio della nostra gente e che sarebbe davvero un peccato perdere».

E come si riprende questa vocazione? Infrastrutture e logistica secondo d'Amico,  «in modo da assicurare trasporti celeri, efficaci ed economici tra le aree produttive nazionali od europee e quella grande porta sul mondo che è il mare. Sono le navi e i porti che danno sostanza allo sviluppo – secondo l'ex presidente Confitarma - e all'interscambio che lega i paesi del Mediterraneo: solo i trasporti marittimi di linea che legano l'Italia ad altri Paesi del bacino (le cosiddette "autostrade del mare" internazionali), tra arrivi e partenze, in un anno sono saliti a 130 a settimana (+20%), che si aggiungono ai 260 esistenti tra i porti del Paese».

Riforma dei porti
D'Amico si è anche espresso sulla riforma dei porti allo studio del ministero dei Trasporti, ribadendo una richiesta costante degli addetti ai lavori: la strategia nazionale. «L'auspicio - ha affermato - è che una catena di comando si faccia carico dei problemi e porti le soluzioni alla politica, fino all'attuazione legislativa e amministrativa, in tempi conformi agli standard internazionali, caratteristici del mondo marittimo».

Quanto vale lo shipping
A parte il dato che ormai l'ambiente ripete come un rosario (lo shipping, che non è un'industria, produce produce beni e servizi per 40 miliardi di euro par al 2,6 per cento del Pil, mezzo milione di occupati di cui 215mila diretti), l'aspetto economico interessante dell'industria armatoriale è il valore delle attività. L'unità di lavoro (indice Istat per indicare il volume di lavoro prestato nelle posizioni lavorative) è di 59mila euro, superiore all'alimentare e al tessile, con punte tra 70mila e 95mila euro.
 
Foto in alto, particolare di un manifesto pubblicitario di Galbani del 1932 (via)