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24 aprile 2024, Aggiornato alle 09,45
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Eventi

Da Napoli ai confini del mondo

In mostra le immagini della fotografa e pediatra Viviana Rasulo che ha viaggiato nel Mare Artico e in Mongolia. In preparazione anche un progetto sulle radici del capoluogo partenopeo


di Marco Molino 

L'azzurro così intenso che fa male agli occhi mentre passeggi lungo il crinale di una remota montagna, o sull'altipiano ghiacciato oltre il circolo polare. L'azzurro carico di un familiare Golfo, dove mare a cielo si stemperano nel millenario intreccio con il giallo del tufo levigato dalla natura e dall'uomo. Il colore diventa una chiave di lettura degli opposti nelle fotografie di Viviana Rasulo, in cerca di una connessione espressiva tra il vicino e il lontano, tra l'andare e il restare. La dimensione dell'altro da se conquista la scena con le immagini di "Ai confini del mondo", la rassegna di scatti che l'autrice partenopea ha riportato dai suoi recenti viaggi in Mongolia e nel Mare Artico, in mostra alla Galleria Mediterranea (via C. de Cesare, 60 Napoli) fino all'8 gennaio. Ma la Rasulo, di professione pediatra, ci accompagna in luoghi estremi e fissa nelle sue istantanee volti duri e apparentemente indecifrabili per parlare anche di noi. "La mia palestra rimane Napoli – spiega – e non a caso è in fase di elaborazione un lavoro sulle radici di tufo delle case lungo la costa posillipina di questa città che continua ad essere fonte d'ispirazione e riflessione. Fuori dai confini nazionali, il mio percorso nel mondo dell'immagine è cominciato in alcuni villaggi in Tanzania dove mi sono recata come medico volontario. Le mie sono foto che cercano di ritrarre non tanto i territori ma le emozioni".

Ai confini del mondo 

I due viaggi raccontati nella mostra "Ai confini del mondo" sono stati intrapresi in compagnia di Luca Bracali, fotoreporter e collaboratore del National Geographic. Il tema centrale è la migrazione. "In Mongolia, raggiunta dopo una avventurosa traversata della Siberia – ricorda la Rasulo - abbiamo incontrato una comunità nomade che vive e si sposta nelle infinite steppe di quel paese stretto tra la Cina e la Russia. Abitano in povere capanne rotonde chiamate gher e seguono le loro mandrie, unica fonte di sostentamento considerato che in quelle terre non cresce niente e d'inverno le temperature raggiungono i meno 40 gradi". L'autrice ha catturato alcune immagini di una secolare caccia con l'aquila che viene addestrata per nove mesi e lanciata alla ricerca di lupi e piccoli animali come le marmotte. Alla base di questo sistema c'è un patto silenzioso tra umani e uccelli: ai primi la pelle degli animali cacciati, ai secondi la carne. Nel Mare Artico la fotografa-pediatra napoletana ha invece inseguito un altro tipo di nomadismo, quello degli orsi polari che migrano dalla Baia di Hudson fino al circolo polare, dove trovano il loro cibo preferito: le foche.

Nomadismo e radici 

Le immagini della Rasulo – che nel 2014 ha realizzato "Photoproject 365" con gli scatti effettuati nel corso di un anno a bambini da lei visitati - mettono a fuoco due temi apparentemente in contraddizione: il nomadismo e le radici, come quelle della sua città natale fotografata navigando in kayak lungo le frastagliate rive di Posillipo, dove "il tufo che sprofonda negli abissi del mare" si fonde col nuovo cemento che tenta di sovrapporsi all'anima più antica di questi luoghi. Una rappresentazione visiva, quasi una metafora, del saldo radicamento nella natura e nella storia che per il capoluogo partenopeo è un patrimonio importante ma talvolta anche un limite, una prigione. "Il napoletano – dice la fotografa - ha difficoltà se non per necessità a migrare in un'altra regione. Ma Napoli è di per sé una città dalle radici instabili sull'acqua sottoposta a continui stimoli vibrazionali e tellurici. Forse non ci crediamo, ma anche il più statico e ostinato cittadino vive una situazione di continua instabilità, precarietà e mutevolezza, che poi è tipico del carattere del napoletano. Radici profonde di culture e di terre antiche – conclude la Rasulo - ma grandi capacità di adattamento e spostamento continuo così come lo è per la Mongolia e per gli orsi Polari".

© Foto Viviana Rasulo