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18 aprile 2024, Aggiornato alle 19,59
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Cosco investe 600 milioni nel Pireo

Intervista a Marco Donati, direttore generale Coscon Italy.  Inaugurato Pier III , il gruppo cinese ora aspetta solo la ripresa dei traffici. E in Italia le porte sono chiuse di Paolo Bosso


di Paolo Bosso 

La settimana scorsa il premier greco Antonis Samaras ha inaugurato Pier III, il nuovo terminal container del porto del Pireo. Per il gestore Cosco Pacific si tratta di un colpo importante. Il gruppo cinese mette definitivamente radici in un porto dove opera dal 2010, uno scalo strategico con un ampio margine di sviluppo. «C'è stato un forte corteggiamento del governo greco verso la Cina affinché Cosco investisse nel paese ellenico», spiega Marco Donati, direttore generale Coscon Italy e profondo conoscitore della realtà del Pireo, «così il gruppo cinese ha partecipato alla gara di assegnazione e ha vinto». I soldi che il gruppo cinese ha già speso sono circa 340 milioni di euro, anche se Samaras ha dichiarato che sono 224. Ma in realtà sono molti di più, «arriveranno altri 250 milioni, escludendo le concessioni che, come si sa, sono molto più care dell'Italia». Totale: 600 milioni, tutti per il Pireo. Un guadagno per entrambi i fronti come sottolinea Donati, per l'Authority e la società cinese: «La Grecia beneficerà dei cospicui investimenti e degli introiti delle concessioni, Cosco avrà un terminal tutto per sé. Con le banchine Pier II e Pier III siamo in grado di movimentare 4,2 milioni di teu, e con il completamento della fase 2 del Pier III (quello inaugurato da Samaras la settimana scorsa ndr) arriveremo a una capacità di quasi 7 milioni di teus». Pier III è equipaggiata con cinque nuove gru, «le più grandi al mondo, capaci di movimentare quattro container insieme su navi da 22mila teu, quando entreranno in servizio» precisa Donati.
Perché puntare sul Pireo?
«Perché è strategico. C'è il Bosforo, il Mar Nero, poi la Siria e il Libano quando saranno più stabili. Il governo greco ha visto in Cosco un intermediario ideale tra sé e la Cina. Non vede soltanto un terminalista, ma un'emanazione del governo cinese. Cosco Pacific è molto interessata ad investire qui, a patto però che siano loro in prima persona a gestire il terminal».
Perché non venire in Italia per esempio?
«Lasciamo stare. L'Italia sembra avere poco interesse e conoscenze  per lo shipping. L'unica cosa che è stata capace di fare in questi anni è stata una legge capestro in difesa degli autotrasportatori che ha creato ancora più problemi invece di risolverli. Provi a chiedere al ministro dei Trasporti chi sono Hutchison o Cosco e sgraneranno gli occhi. Non ho niente contro il dicastero, è una battuta per sottolineare come nel nostro paese manchi una volontà politica per i porti, un dipartimento logistico per esempio. Risultato: gli interessi di Cosco non hanno mai avuto riscontri qui».
Si preferisce favorire altri operatori…
«Esatto, i piccoli bottegai, sbattendo in faccia la porta a una multinazionale che rappresenta la Cina nel mondo, che ha terminal in Belgio, Francia, Cina, Grecia e progetti in Sud Africa e Stati Uniti».
Però a Napoli c'è il terminal Conateco.
«Le racconto un aneddoto. Nove anni fa incontrammo l'allora presidente della Repubblica Ciampi. Discutemmo del progetto per la darsena di Levante che allora era promettente. Dopo nove anni finalmente sono riusciti a iniziare i lavori. Abbiamo limiti strutturali in Conateco, in particolare nella lunghezza delle banchine e nei pescaggi, per questo investire lì è impossibile. Abbiamo bisogno che  la darsena di Levante sia pronta il più presto possibile per riuscire a portare le navi di ultima generazione, fino a 18mila teu. Ma spero che non sia pronta tra dieci anni».