|
adsp napoli 1
19 aprile 2024, Aggiornato alle 13,17
forges1

Informazioni MarittimeInformazioni Marittime

unitraco2
Eventi

Check-up Mezzogiorno, settimo anno di crisi

Dallo studio di Confindustria-SRM emerge un meridione in affanno (40mila imprese in meno), ma ricco di potenzialità. La sfida per il 2015: rilancio degli investimenti pubblici e privati


Oltre 40 mila imprese in meno; investimenti in calo di oltre 29 miliardi di euro; quasi 700 mila posti di lavoro perduti; 125 mila lavoratori in Cassa Integrazione; quasi una persona su due ha rinunciato a cercare un lavoro regolare; PIL in calo di oltre 51 miliardi di euro. Questo il bilancio di sette anni di crisi secondo il Check-up Mezzogiorno, elaborato da Confindustria e SRM-Studi e Ricerche per il Mezzogiorno (centro studi del Gruppo Intesa Sanpaolo) per fare il punto sullo stato di salute dell'economia meridionale. Emerge dalla ricerca un "indice sintetico" ben al di sotto del dato di partenza del 2007, ed in calo ulteriore rispetto al minimo già registrato nel 2013.

Il meridione
Nei primi 9 mesi del 2014, 88 mila imprese meridionali hanno chiuso i battenti, ad un ritmo di 326 cessazioni al giorno, non compensate dalle nuove iscrizioni: il saldo del 2014 vede, infatti, 10 mila imprese in meno.  Le sofferenze bancarie sono ormai ben oltre quota 36 miliardi di euro. Le imprese che restano vedono erodere il loro fatturato (-1,8%), la loro redditività (RoI ridotto di oltre 3 punti dal 2007) e i loro margini, anche per effetto dell'aumento della pressione fiscale: le imprese in perdita nel Mezzogiorno sono circa 1/3 del totale, e il 5,5% di loro è in perdita dopo il pagamento delle imposte. Segno di margini sempre più esigui, ma anche di una pressione fiscale, soprattutto locale, sempre più opprimente: come certifica la Banca d'Italia, nel 2011-12 le entrate fiscali sono aumentate dell'1,7%  all'anno nel Mezzogiorno, dove ormai il rapporto tra gettito fiscale e PIL è ormai prossimo a quello del Centro-Nord.

L'export
Segnali contrastanti vengono dalle esportazioni. Nel medio lungo periodo, indica lo studio SRM,, l'export si conferma la principale variabile positiva dell‘economia meridionale (+2,7% rispetto al dato pre-crisi del 2007) ma, nel complesso, anche questa variabile sta conoscendo negli ultimi mesi un preoccupante rallentamento, essendo fortemente influenzata dall'instabilità del pezzo del petrolio (che costituisce parte importante dell'export meridionale). Nel 2014 migliora infatti l'export dell'automotive e dell'aeronautico (+5,1% rispetto ad un anno fa), della meccanica (+4,3%) e del metallurgico (+13,9%), trainato dalla ripresa delle esportazioni dell'ILVA di Taranto: in calo invece, oltre ai prodotti della raffinazione, la chimica, la farmaceutica e la gomma e plastica. L'agroalimentare è il settore che più ha visto crescere le proprie esportazioni dall'avvio della crisi (+40,5%, con un incremento in valore di oltre 1,2 miliardi di euro).

Le imprese
Quelli legati all'export non sono i soli segnali positivi: continua a crescere il numero delle società di capitali (+4,4% nell'ultimo anno, nonostante il calo delle imprese attive), come il numero delle start up (+45,6% nella sola seconda parte del 2014); crescono le imprese in rete (oltre 2.200) e cala per la prima volta il numero medio delle società con almeno un protesto nell'anno. Soprattutto, come mostra la Banca d'Italia, la domanda e l'offerta di credito tendono a stabilizzarsi (anche grazie all'intervento della BCE), dopo un lungo periodo in cui alla crescita della domanda ha fatto riscontro un irrigidimento delle condizioni di offerta e, di conseguenza, una riduzione degli impieghi (-1,8%). 


La Pubblica Amministrazione
Tali segnali, tuttavia, non sono ancora sufficienti ad invertire la tendenza, anche perché concentrati in alcune aree e con numeri ancora troppo esigui e, soprattutto, non supportati da una azione pubblica convintamente anticiclica, se si eccettua l'effettivo saldo di buona parte dei debiti della PA verso le imprese. Tra il 2009 e il 2013, infatti, la spesa in conto capitale nel Mezzogiorno si è ridotta di oltre 5 miliardi di euro, tornando ai valori del 1996, contribuendo alla riduzione del numero e del valore degli appalti pubblici. Di valore sempre più ridotto sono, inoltre, le gare di Partenariato Pubblico-Privato bandite al Sud, e pressoché dimezzati, rispetto all'anno precedente i mutui concessi agli Enti locali per il finanziamento degli investimenti. Si realizzano, dunque, sempre meno investimenti pubblici, sia che lo Stato li finanzi direttamente sia che li promuova indirettamente.

Gli investimenti
E' un Mezzogiorno con il motore al minimo, dunque, in cui economia, società e amministrazione pubblica sembrano non avere la forza per uscire dalla crisi e il clima di fiducia faticosamente risalito nei mesi scorsi, è tornato purtroppo a calare, soprattutto nella sua componente economica. Si spiega anche così il basso livello di investimenti privati nonostante la liquidità non manchi ai principali gruppi bancari, dopo l'accesso al funding agevolato della BCE. Quella del Mezzogiorno, oltre che una crisi economica e sociale, sembra essere sempre più una crisi di sfiducia, in cui le imprese non investono, i giovani se ne vanno, perfino le poche risorse pubbliche per investimenti non si riescono ad utilizzare: ad un anno dalla chiusura del ciclo di programmazione 2007-13, restano infatti ancora da erogare ben 14 miliardi di euro. Cosicché, torna ad allargarsi il divario nel PIL procapite, pari a poco più del 56% di quello del Centro-Nord: in valori assoluti, pari a circa 13mila euro in meno. E' un Mezzogiorno sfiduciato quello che viene fuori dall'analisi di SRM, ma ancora ricco di risorse e di imprese che hanno rinviato i loro investimenti in attesa di prospettive più chiare, e che hanno bisogno di un tessuto sociale e soprattutto istituzionale che reagisca con vigore.

Le prospettive
Il recupero della fiducia appare pertanto la principale ricetta di politica economica capace di agganciare il Sud alla possibile ripresa del 2015: lo sblocco di questo stand-by può venire da uno stimolo esterno. L'esclusione delle spese di investimento, in particolare di quelle finanziate da fondi strutturali europei dal calcolo europeo del deficit, appare sempre più la chiave di volta per rimettere in moto investimenti da troppo tempo bloccati e per ridare ai bilanci pubblici spazi di manovra senza i quali nessuna fase espansiva appare ipotizzabile. Il semestre di presidenza italiano ha avuto il merito di porre il tema all'ordine del giorno, e il recente Consiglio europeo ha lasciato aperto uno spiraglio, collegandone l'eventuale implementazione all'attuazione del Piano Juncker. Queste timide aperture devono essere consolidate già nei primi mesi del 2015, per poterne trasferire i benefici effetti sul Patto di Stabilità delle Regioni, ampliando gli spazi, ancora stretti, aperti dalla Legge di Stabilità. La vera sfida è costituita da una selezione attenta e mirata degli investimenti pubblici e privati, in alcune aree prioritarie dal valore strategico: dalla ricerca e sviluppo alla competitività delle imprese; dalle risorse naturali e culturali all'istruzione; dall'efficienza energetica alle infrastrutture materiali e sociali (e ai servizi che tali infrastrutture utilizzano). E' la stessa sfida del Piano Juncker, sulla quale far convergere gli investimenti pubblici e privati, e su cui concentrare tutte le risorse della politica di coesione, vecchie e nuove. Una sfida da giocare prima di tutto al Sud.