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23 aprile 2024, Aggiornato alle 12,07
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Politiche marittime

Autorità portuali, due scuole di pensiero

C'è chi li vorrebbe simili a un emporio e chi un anello di congiunzione tra la logistica marittima e terrestre. I cambiamenti in atto nella governance portuale italiana secondo Gallanti


di Paolo Bosso
 
In Italia «ci sono due scuole di pensiero: secondo alcuni le authorities devono essere dei semplici amministratori di condominio, gestori del demanio pubblico, secondo altri dovrebbero invece essere business oriented e avere la facoltà di fare investimenti al di fuori dell'area portuale. Io sono a favore di quest'ultima tesi». A dirlo è il presidente dell'Autorità portuale di Livorno Giuliano Gallanti (nella foto) nel corso della presentazione del Piano Regolatore Portuale dello scalo toscano tenutosi a Livorno la settimana scorsa. 
Da un po' di tempo in Italia è tornato il tema dell'accoglienza delle navi container di ultima generazione e ancora una volta si torna a parlare delle annose difficoltà infrastrutturali, logistiche e territoriali di questo paese. Attualmente banche, finanziarie e fondi di investimento stanno acquistando i grandi terminal del Belpaese. Un'occasione, secondo Gallanti, per trasformare le Autorità portuali in un organismo che vada oltre il semplice demanio ma diventino un "anello di congiunzione" tra la logistica marittima e terrestre. Civitavecchia e Genova, porti simbolo dei due principali business marittimi, le crociere e i container, hanno presentato due piani faraonici. Il primo una specie di New Deal che mette sul piatto entambe le attività, il secondo un piano ventennale che potenzierà enormemente banchine e traffici. Sono piani, per di più parole, se non vere e proprie attività di "marketing politico", fatto sta che se i due principali porti commerciali italiani progettano in questi termini vorrà dire che almeno loro un altro treno non vogliono perderlo. «I porti del Nord Europa – spiega il presidente dello scalo di Livorno - hanno capito prima di noi che uno scalo marittimo non è un semplice porto emporio, ma un anello di una complessa catena logistica: per questo hanno cominciato ad investire sugli inland terminal facendoli diventare dei veri e propri centri di smistamento e manipolazione della merce. Ed è uno dei motivi del loro grande successo: hanno fiumi navigabili, sono ben collegati ai mercati di riferimento e hanno interporti efficienti». Storia nota, l'Italia non ha questo livello di organizzazione, anche perché «è poco presente in Europa». «Pochi giorni fa – racconta Gallanti - ho letto lo studio sulla portualità italiana elaborato dalla Cassa Depositi e Prestiti: vi si legge una cosa nota, e cioè che i porti di riferimento per l'Alta Italia (Pianura Padana) non sono Genova, Livorno o La Spezia, ma Rotterdam, Anversa, Amburgo. Questo ci deve far riflettere, così come ci deve far riflettere il fatto che nemmeno un contenitore sbarcato in uno dei porti delle penisola raggiunge la Svizzera o la Baviera».